"E ora parte la rivoluzione liberale La sinistra invece torna solo indietro"

Berlusconi sul palco parla per la prima volta da leader del Popolo della libertà: "Non è un'annessione, ma una confluenza. Oggi siamo l'unico governo possibile". Omaggio a Fini: "Un leader che ha fatto scelte coraggiose". Il più grande studio tv del mondo per il partito più grande d'Italia. Lutto fra le fila di An: scomparso Ugo Martinat. Leggi il discorso completo di Silvio Berlusconi  Guarda la diretta dei lavori

"E ora parte la rivoluzione liberale  
La sinistra invece torna solo indietro"

Roma - Un’ora e trentuno minuti quasi in perfetto stile congressuale. L’occasione è di quelle che passano alla storia e Silvio Berlusconi decide di mettere da parte le sue performances più tradizionali per parlare per la prima volta da leader non solo di Forza Italia ma anche di Alleanza nazionale. Tiene nel cassetto il suo repertorio di battute e pure l’interazione con la platea diventa un elemento di contorno. Un’ora e trentuno minuti in cui gli ultimi quindici anni di politica italiana non sono solo la «discesa in campo» e la «traversata nel deserto», ma anche il sostegno a Gianfranco Fini candidato sindaco di Roma e il congresso di Fiuggi che nel 1995 sancì l’addio all’Msi e la nascita di An. Storie che si intrecciano e riferimenti culturali comuni, per mettere nero su bianco che il Popolo della libertà non è affatto un’annessione, ma la confluenza di due esperienze che ormai dal 1994 camminano di pari passo. Il termine «sdoganamento», dice il Cavaliere a fugare anche i più scettici, è «inaccettabile». È un tributo a Fini, che applaude in prima fila. Ma è soprattutto il riconoscimento che la destra italiana è stata in grado di arrivare al governo e nelle istituzioni con le proprie gambe e non per i buoni uffici di Berlusconi. L’applauso è lungo e caloroso. Come quando il premier cita prima la Patria e poi il ministro dell’Armonia Pinuccio Tatarella. Due occasioni in cui i delegati di An dimostrano di essere ben più caldi di quelli azzurri.

D’altra parte, era questa la sfida del Cavaliere. Conquistare anche quella platea che ancora lo guarda con un pizzico di diffidenza, perché anni e anni di vita vissuta – confidava ieri un ministro che nell’Msi ha fatto la gavetta – non si cancellano in qualche mese. E il tributo alla storia di un partito che prima degli anni Novanta stava a fatica nell’arco costituzionale è la misura dell’intervento di Berlusconi. Che nel giorno della fondazione mette da parte tutte le incomprensioni con Fini, finanche l’ultima querelle di giovedì scorso. «È un leader – dice senza incertezze – che ha fatto scelte coraggiose». E ancora: «Gianfranco, desidero ringraziarti perché anteponendo gli interessi del Paese a quelli personali hai contribuito a scrivere insieme a noi questa pagina di storia». Delle polemiche delle ultime settimane neanche l’ombra, perché Berlusconi si guarda bene dal tornare sulla lentezza del Parlamento o sulla necessità di utilizzare i decreti legge per riuscire a legiferare al passo con i tempi. Per il presidente della Camera sarebbe stato lo sgarbo più grande. E anche nel guardare indietro, il Cavaliere sceglie di citare il 2 dicembre del 2006 e non il 18 novembre 2007 come passaggio chiave per la nascita del Pdl. La manifestazione di piazza San Giovanni, dunque, e non il predellino di piazza San Babila quando i rapporti con Fini non erano certo idilliaci. Ed è da qui che prende lo spunto per sottolineare più d’una volta che «quello del centrodestra è un popolo prima di essere un partito». Popolo della libertà che, insiste, «non ci è mai data per sempre, va difesa ogni giorno». È questa, aggiunge, «la nostra religione laica». «Oggi – dice Berlusconi aprendo il suo intervento – si avvera un sogno. Siamo il partito degli italiani liberi che vogliono restare liberi. I sondaggi, quelli veri, dicono che siamo al 43,2%, ma noi vogliamo arrivare al 51». Il Cavaliere cita la dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, ma anche don Luigi Strurzo e Alcide De Gasperi come ideali precursori del Pdl. Gli applausi più spontanei, però, arrivano quando ricorda il «grande amico Bettino Craxi».

Non è solo un pensiero affettuoso quello del Cavaliere, che al leader del Psi riconosce «il grande merito» di essere stato «il primo presidente del Consiglio a rivolgersi ai banchi della destra attribuendogli pari dignità democratica». «Quella del Popolo della libertà – spiega – sarà una rivoluzione moderata, liberale, borghese, popolare e interclassista». L’unico affondo, il solo strappo a un intervento misurato e calibrato nel più piccolo dei dettagli, Berlusconi lo concede – volutamente – sull’opposizione. «In Italia – dice – oggi siamo l’unico governo possibile. Il destino del Pdl dipende dalla capacità del governo di incontrare il consenso dei cittadini». Poi attacca su Walter Veltroni: «Mi ha illuso, ma è stato un bluff». Ancora più netto su Romano Prodi: «Velo pietoso sul suo ultimo governo». E Dario Franceschini? «È impegnato nell’inutile tentativo di salvare il salvabile». D’altra parte, «gli italiani non hanno gli occhi bendati». «Noi – attacca ancora – andiamo avanti, mentre la sinistra invece torna indietro tanto che oggi sta uscendo di scena». Quella stessa sinistra che ieri «bruciava le bandiere degli Stati Uniti e di Israele» mentre «noi siamo fieri dei nostri soldati che contribuiscono a costruire la democrazia nei Balcani e nel Medio Oriente». «Una sinistra – affonda il colpo Berlusconi – che non è mai mutata, non ha avuto il coraggio di rinnegare il comunismo e di chiedere scusa agli italiani». È stata solo «risparmiata in modo chirurgico dalle inchieste giudiziarie», così da «entrare nelle macerie della Prima Repubblica come l’Armata Rossa nelle rovine di Varsavia e di Berlino». Un’ora e trentuno minuti che si concludono con tutti i soci fondatori del Pdl chiamati sul palco della Nuova Fiera di Roma.

Con La Russa (storpiato nella fretta in «La Russia»), che non si cura dei microfoni accesi e invita il Cavaliere a salutare «anche l’Mpa di Lombardo». Salgono tutti, tranne Marcello Dell’Utri e Francesco Nucara. E parte in chiusura il «jingle» di Menomale che Silvio c’è. Solo musica e niente parole, perché i delegati di An di certo non avrebbero gradito.

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