E ora il partito usa le primarie contro Bersani

RomaA due mesi dal voto, puntuale come una cambiale, nel Pd è riscattato l’istinto cannibale.
Un pezzo di partito contro l’altro, e la scadenza elettorale vista come potenziale round supplementare del congresso permanente: qualsiasi risultato men che smagliante verrà usato contro la leadership, per indebolirla, condizionarla o addirittura sostituirla. «Come ne usciamo? Solo con un buon risultato elettorale, altrimenti ripartirà la guerra civile», ammette sconsolato un altissimo dirigente. Che confida: «In varie regioni, dal Piemonte alla Liguria e perfino al Lazio, dove la candidatura Bonino ha grande presa sull’elettorato d’opinione romano, abbiamo buone chance di tenere. Ma se Berlusconi parte con una campagna elettorale sul taglio delle tasse, la vedo molto grigia».
L’arma brandita dalla fronda anti-Bersani stavolta si chiama «primarie»: tranne alcune disinteressate anime belle, alla Arturo Parisi, chi oggi le reclama sembra farlo innanzitutto per mettere in difficoltà (come se ne mancassero) il tentativo del segretario di chiudere la partita delle candidature.
E al pressing sulle primarie esercitato dalla minoranza di Franceschini e Veltroni ha dato la sua benedizione anche la presidente dell’Assemblea Pd Rosi Bindi, che in teoria sta in maggioranza con Bersani. Ma che in realtà ritiene di essere ai primi posti, e con l’imprimatur di Repubblica, nella virtuale lista di candidati alla successione del neosegretario. E dal congresso in poi non ha mancato occasione per ritagliarsi uno spazio di visibilità. L’uscita bindiana pro primarie viene interpretata anche come un segnale della rivalità con l’altro post Dc ai vertici Pd, ossia Enrico Letta, vero braccio destro di Bersani e tessitore delle alleanze con l’Udc.
La sponda interna alla maggioranza ha alimentato il pressing pro primarie. Il principale terreno di scontro è la Puglia, terra dalemiana e primo laboratorio dell’intesa coi centristi, che mette ai margini la sinistra radical. Lì le cose stanno ancora in alto mare, e l’assemblea regionale che dovrebbe sciogliere il nodo primarie e lanciare la candidatura di Boccia contro quella di Vendola (sostenuto dalla minoranza Pd), è slittata a venerdì. Al vertice Pd non resta che confidare nell’aut aut di Casini (se si fanno le primarie, col rischio che vinca Vendola, l’alleanza salta subito) per vincere lo scontro interno.
Nel Lazio la scelta per Emma Bonino è fatta, ma non ancora formalizzata, anche se Di Pietro rema contro.

La lunga trattativa con i radicali deve ancora iniziare, e ai vertici Pd si ricorda con terrore quella per le politiche, con Pannella in sciopero della sete «che ci mandava un certificato medico ogni due ore», e con la delegazione Pd, Bettini in testa, stremata e decimata da un febbrone «da stress». Se non altro, però, la leader radicale ha già liquidato le primarie: «Se mai le faremo nel 2013». Un problema in meno per Bersani.

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