«E ora lo Stato aiuti le piccole aziende»

A Pino Polli il coraggio non manca di certo. Imprenditore, guida la Manifattura di Domodossola, ed è Presidente della Federazione confindustriale TessiliVari; lo scorso autunno è stato uno dei più convinti sostenitori della battaglia per la difesa del Made in Italy contro i grandi gruppi. Ora esce di nuovo allo scoperto con questa intervista al Giornale, in cui interpreta il crescente malumore dei piccoli e medi imprenditori per le vicende che riguardano la Fiat e, in genere, gli aiuti di Stato.
Che cosa non va?
«Semplice: a ricevere sussidi pubblici sono settori come auto, motociclo, elettrodomestici, che hanno delocalizzato molto; mentre quelli che producono vera ricchezza continuano ad essere ignorati»
A quali si riferisce?
«Parlano le cifre. Oggi il surplus commerciale italiano è garantito da settori come abbigliamento tessile, arredo mobili, alimentare, automazione, composti da aziende che operano soprattutto in Italia, qui pagano le tasse, qui creano occupazione. Sono queste le vere realtà strategiche, non le altre».
I sussidi non aiutano l’Italia che lavora?
«Solo in parte. Il caso della Fiat e di Termini Imerese è emblematico. Gli aiuti per la rottamazione hanno favorito un mercato popolato per il 70% da aziende straniere e per il 30% dal gruppo Fiat, che solo in parte ormai produce in Italia. E lo stesso vale per motocicli ed elettrodomestici. Sul territorio resta ben poco. Credo sia giunto il momento di difendere davvero il nostro Paese».
Ma anche Sistema Moda Italia ha chiesto delle rottamazioni...
«È vero, ha proposto incentivi per rottamare gli abiti da bambini e gli arredi degli alberghi; ma secondo noi non servono per aiutare il tessile, che, molti pensano in declino, e che invece dà lavoro a 500mila persone, di gran lunga più dell’auto, incluso l’indotto».
E allora cosa propone?
«Bisognerebbe defiscalizzare e ridurre l’incidenza dei contributi sociali. È quello che si aspettano le piccole e medie imprese. Il rinnovo dei contratti collettivi offre l’opportunità per inviare un segnale di svolta e uscire dalle logiche di un sistema che privilegia gli interessi delle lobby rispetto a quelli del tessuto industriale italiano».
Anche voi chiedete il taglio dell’Irap?
«Sì, ma in questo momento sarebbe più utile ridurre il carico fiscale, che incide sugli aumenti salariali dei contratti collettivi per circa il 25%. Si alleggerirebbero i costi delle aziende e aumenterebbe il netto in busta. Il taglio è diretto, è immediato e non comporta burocrazia. Lo Stato perde delle entrate, ma sa che i fondi a cui rinuncia restano sul territorio, contribuendo al rilancio dell’economia nazionale. I costi complessivi, tra l’altro, sarebbero inferiori a quelli degli incentivi tradizionali».
Eppure c’è chi dice che la riduzione delle tasse è antisociale...
«Non è vero e mi auguro di cuore che i sindacati lo capiscano. I tagli aiutano i lavoratori e premiano le aziende che danno lavoro ai giovani e alle donne.

Nel tessile, ad esempio, il 70% della manodopera è femminile; perché questo aspetto non viene mai considerato?».
Dunque addio rottamazioni?
«Senza dubbio. Solo usando la leva del fisco si può dar respiro alle piccole e medie imprese, che combattono contro una crisi ancora pesante».
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