E il partito integralista mette all’asta gli abiti insanguinati dei «martiri»

La reliquia è sul tavolo. Il battitore l’alza, la scuote, la muove. Come se volesse regalarle un po’ di vita. La telecamera di Al Jazeera scende sul pubblico. Siamo in Giordania. Forse in una moschea. Forse in un circolo privato. Di certo la folla davanti al tavolo d’aste è tutta palestinese. Tutta vicina ad Hamas. Volti barbuti, facce attente, occhi spalancati su quella giacca sudario. Per qualche secondo il presentatore non parla. La espone soltanto. Poi il colpo di teatro, la grande introduzione per il pezzo più desiderato della serata.
«Fratelli da un po’ di anni un uomo ci ha lasciati. Ha sacrificato la sua anima come combattente della guerra santa in nome di Allah. Tutti sanno chi fosse. Lo conoscono palestinesi ed egiziani, lo conoscono dalla Palestina al resto del mondo, qualsiasi uomo libero non può non conoscere il comandante delle Brigate Ezzedin Al Qassam, Sheik Sallah Shehada». La folla trasale, sobbalza ondeggia. Proprio lui sembran dire cento sospiri. «Proprio lui e questa era la sua giacca», li anticipa il battitore militante. Al proferir di quel nome il raduno s’anima. La raccolta di fondi per lo squattrinato governo di Hamas si trasforma in un’adorazione da sacra sindone.
Shehada disintegrato nel giugno 2002 da una bomba israeliana da cinquecento chili assieme a un palazzo, nove bambini e sei adulti palestinesi, non è solo un morto. È il simbolo del sacrificio e della lotta. Come lo sceicco Ahmed Yassin, come Abdel Aziz Rantisi. E a questa riunione i simboli si trasformano in moneta sonante. «Musulmani di Gaza e di Palestina, musulmani di tutto il mondo - ulula il Wanna Marchi della serata – siamo qui per mettere all’asta una giacca del martire Sallah Shehada chi avrà l’onore di comprarla contribuirà anche ad aiutare il governo palestinese, forza fate le vostre offerte quest’occasione non si ripeterà...».
Dal fondo della sala, fuori dal campo della telecamera qualcuno propone venti dinari giordani, poco più di 22 euro. Il battitore risponde con una smorfia sbigottita, un po’ schifata. «Venti dinari, solo venti dinari per la giacca di uno dei più grandi martiri? Nessuno offre di più? Nessuno vuole conquistarsi un posto in paradiso contribuendo a una causa sacra?». Adesso le esortazioni vanno a segno, le mani si alzano, la posta decolla... «Cento dollari». «Trecento dinari!». «Quattrocento!» «Cinquecento dollari!». La folla esita. «Solo cinquecento dollari per il paradiso, solo cinquecento?», rilancia il maestro d’asta. «No, duemila», strilla un signore. «Tremila!», lo congela il vincitore. Il battitore si guarda intorno. Non parla più. È soddisfatto. Attende qualche secondo poi, invece di battere il martello, lancia tre «Allah Akbar (Allah è grande)». La giacca è gia nelle mani del compratore, i soldi nella cassa dell’organizzazione.

La folla ulula entusiasta, il battitore la incita. «Chi è il vostro leader?». «Il profeta», tuona la sala. «Qual è la vostra costituzione?». «Il Corano». E infine l’ultimo fondamentale appello. «Per chi sono queste vostre donazioni?». «Tutte per Hamas!».

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