Politica

E poi se la prendono con Deborah Bergamini

Non sarà che fra una dichiarazione indignata e l'altra sulle intercettazioni telefoniche, un'inchiesta dell'Ordine e una di Calabrò, un Cappon che tuona e un articolo 21 che si torce le budella, non sarà che finisce con il solito strausato capro espiatorio, ovvero che l'unica da allontanare per sanare il male e restituirci la Rai più linda e monda che pria, risponderà al nome di Deborah Bergamini? In fondo è l'ultima arrivata, non fa parte in alcun modo del teleclan, fatto di persone che si sostengono odiandosi da tempo immemorabile, e pure femmina è, nonché ex segretaria, parola che ogni concetto malevolo può evocare, del Cav.
Basta guardare il curriculum vitae di Deborah Bergamini per capire che in Rai non sarebbe mai entrata per meriti, ma solo grazie a una spinta potentissima. Laureata in Lettere e Filosofia presso l'Università di Firenze, ha conseguito un Diploma Post-Laurea in «American Studies» presso lo Smith College di Northampton, Massachusetts, Usa, focalizzato sul Marketing Politico. Giornalista professionista dal 1999, lavora nella redazione televisiva internazionale di Bloomberg a Londra dal 1997 al 1999 come giornalista e anchor, sia per il canale in lingua inglese che per il canale in lingua italiana. Precedentemente, lavora a Parigi in qualità di caporedattore per l'editore internazionale Analyses et Synthèses, specializzato in pubblicazioni del settore finanziario e bancario. Dal 1999 al 2002 sta nello staff di Silvio Berlusconi e segue le campagne elettorali amministrative e politiche del 2000 e del 2001. Parla correntemente inglese, francese e spagnolo. Nel 2002 viene assunta in Rai, prima come vice, poi direttore del marketing. Tutto qui, capito? Noi sappiamo che tre lingue in Rai è il requisito minimo, sui dottorati Usa ci sputano sopra, i piani aziendali si fanno ad Arcore, anche con Prodi al governo.
In realtà il ridicolo ha circondato lo «scoop benedettino» di Repubblica dal primo momento. Loro hanno scritto che, tra una telefonata di Mimun a Rossella, una della Bergamini a Mauro Crippa, proliferava «la centrale unificata di un'informazione omologata e addomesticata, al servizio cieco e totale del berlusconismo al potere». L'ex direttore generale Pier Luigi Celli gli ha risposto che così si faceva anche ai tempi suoi, Walter Veltroni pure ha detto: «Considero la vicenda Rai gravissima (...) ma non c'è sempre il complotto, le cose vanno come vanno». Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, non proprio Cuor di Leone, ma pur sempre garante della nostra libertà individuale, ha ricordato che «le intercettazioni sarebbe bene che restassero dove devono restare, almeno fino a che c'è il segreto istruttorio».
È tutto ridicolo, soprattutto quando i rivelatori di queste intercettazioni pensano di farci credere che alla Rai di oggi i direttori nominati dall'Ulivo non parlano di palinsesti e di notizie del telegiornale, se riguardano le notizie «sensibili», per Prodi e il suo governo. Tuttavia, qualcuno potrebbe rimetterci il lavoro.

Io non ci sto.

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