E il popolo democratico sa soltanto guardare

Perché l’Europa per quei ragazzi di Teheran e di Tabriz non fa niente? Non ci meraviglia l’Europa delle burocrazie: quella la conosciamo già, e si occupa solo di finanza e regole alimentari. Intendiamo l’Europa dominante, quella di Internet, il famoso popolo democratico che si autoconvoca per il clima a Copenaghen, per la libertà di stampa contro Berlusconi a Roma e nelle piazze del mondo. Semplice, della libertà degli altri non gli importa un fico secco. Onora solo i propri totem. Ecologia, libertà vera o supposta del proprio nickname (nome in codice che permette l’anonimato sulla rete). L’Europa ormai è sensibilissima ai diritti umani del proprio umore sessuale, in Parlamento e fuori, nelle corti di giustizia e nei circoli intellettuali. Ma se c’è del sangue fugge. Perché teme di versare il proprio. Basti pensare a come hanno risposto i Paesi europei alla chiamata americana (di Obama peraltro) a investire nuove risorse militari nella guerra contro i talebani: solo l’Italia ha detto di sì senza accampare scuse. Gli altri: boh, forse, vediamo. E il popolo Internet va contro, contrarissimo, ovvio, guai alla guerra. Però intanto la lasciano fare contro il proprio fratello iraniano. In Italia agitano qualcosa di viola contro il Berlusca, non di verde contro Ahmadinejad. Eppure.
Eppure l’Iran è un affare italiano, tre volte. Lo è perché ogni volta che si offende la libertà dei popoli, e si sparge il sangue degli inermi, la cosa ci riguarda. Lo è la seconda volta perché con i persiani ci intendiamo da sempre, abbiamo i rapporti migliori tra gli Occidentali dai tempi dello Scià e anche dopo, attraverso Andreotti e poi Violante (sì, Violante). La terza, e questa è ciò che colpisce di più, perché la rivolta iraniana si alimenta da Internet e noi sappiamo tutto da e su Internet; oggi è l’Italia il luogo del pianeta dove si esalta il ruolo del web per la libertà. Non per il commercio, per l’economia, per la cultura: no, proprio per la libertà pura e semplice. Guai a chi tocca Internet, si dice: da lì passa l’espressione pura e innocente di chi non ha potere. Chiunque abbia aperto il computer, e navigato a caso nei giorni scorsi, si è trovato dinanzi a una sorta di insurrezione contro chiunque osasse proporre un po’ di calma alla giungla, e timidamente osasse invitare i colleghi di Internet (tutti siamo su Internet) a espellere gli scotennatori. Guai. I teppisti sono tollerati come male inevitabile del sottobosco elettronico, e se uno propone di accendere dei fari per vedere chi nasconde il coltello sotto il velo dell’anonimato, orrore, dittatura, tirannide. Persino Maroni, che affronta a muso duro i mafiosi, si è trasformato in agnellino dinanzi alla potenza corale dell’opposizione progressista e tecnologica.
Domanda: e allora perché il popolo di Internet, egemonizzato in Italia come ognun sa dai blog di Beppe Grillo e da «Piovono rane» dell’Espresso, visto che sa tutto, riesce a bucare la corazza della censura berlusconiana, non dice nulla, ma proprio nulla di Teheran? Ogni giorno contro Berlusconi e le presunte minacce alla libertà provenienti dal processo breve; e invece non ci dicono niente sull’Iran. Perché hanno taciuto e tacciono?
Io non assolvo me stesso e neanche quelli della parte politica di centrodestra. Toccherebbe anche noi sfilare e agitare striscioni, e lo faremo senz’altro: ci penserà il Foglio come sempre, oppure il Predellino, a organizzarci, e siamo grati a priori. Ma non è il nostro mestiere. È vero: per cinque minuti ci viene in mente di invadere le strade quando tirano in testa un blocco di alabastro a Berlusconi, ma ci sembra alla fine una scena troppo da Cgil. E allora manifestiamo altrimenti affetto e indignazione: telefoniamo, mandiamo telegrammi, preghiamo a casa e in chiesa, ci imbufaliamo al bar con il sostenitore di Tartaglia e di Di Pietro, ma intrupparci non ci viene bene.
Invece quelli dei blog professionisti perché non ci hanno fatto sapere niente di che cosa si preparava a Teheran? La protesta e la repressione, i video con gli appelli: niente di niente. I signori del www li vediamo nei talk show vantarsi di non avere nessuno dalla loro e poi dal nulla di riuscire a trovarsi in centomila, duecentomila, un milione. Hanno messo su una parata per buttare giù Berlusconi, mobilitandosi in rete - come dicono. Per l’Iran niente, si muovono soltanto i parenti dei ragazzi di Teheran e di Tabriz e accendono candele e portano qualcosa di verde davanti all’ambasciata romana degli ayatollah. Quando c’è stato da portare qualcosa di viola per appendere per i piedi Berlusconi si radunarono in massa via internet (dicevano), in realtà più che altro sospinti da Annozero e da Travaglio. Ci ricordiamo bene: gli antiberlusconiani dovevano portare tutti qualcosa di viola per distinguersi, visto che il verde era già occupato dall’onda liberale persiana. È la prova che sapevano, erano al corrente, e allora perché non hanno fatto niente per il verde della libertà iraniana? Moralmente e fisicamente, intendiamo. Niente.
Non è che si occupano solo del Berlusca. A Copenaghen si sono mobilitati. Per il vertice sul clima c’era il pienone dei manifestanti, da noi amorevolmente definiti bamba. Italiani e francesi, anarchici e antagonisti, verdi e comunisti, figli e nipoti di intellettuali di sinistra, c’erano tutti, furibondi e protesi a impedire la diffusione dell’anidride carbonica. Non temevano la vendetta tremenda del CO2, sono gente coraggiosa, e ci hanno dato dentro. Forse perché a differenza di Mahmud Ahmadinejad e del Grande Ayatollah Khamenei, l’anidride carbonica non è dotata di guardie della rivoluzione armate e di Tribunali speciali.
È così: da noi l’avanguardia progressista padrona delle piazze, dell’ecologia e del pacifismo obbedisce non alla realtà ma ai propri fantasmi e ai propri tabù.

Siccome l’Iran degli ayatollah e delle bombe atomiche incipienti è contro Israele e contro l’America, è portata a solidarizzare con i capi islamici, o a non vedere la morte seminata a Teheran contro chi difende la democrazia e si ribella, in nome della libertà e di Internet. Proprio di Internet come strumento però, non come un Totem intorno a cui danzare come se fosse il proprio ombelico senza vedere che cosa accade davvero nel mondo.

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