E presto saremo condannati a fare scalo al Charles de Gaulle

da Milano

Saremo condannati a passare dal Charles de Gaulle. L’obiettivo di Air France era già chiaro negli anni Novanta a Domenico Cempella, ad di Alitalia, che preferì allearsi con Klm. Dopo dieci anni, l’intento è reso palese anche dal ridimensionamento dell’attività a Malpensa.
Ma un transito a Parigi è una iattura. L’aeroporto è immenso, il trasferimento da un’area all’altra è un inferno, sia che a piedi che in bus. Basta il minimo ritardo di un aereo in arrivo, perché i tempi di connessione costringano prima a corse angosciose, poi alla perdita della coincidenza. Tutto sotto la sorveglianza degli agenti francesi, che non si possono dire propriamente socievoli. Ne sa qualcosa l’avvocato Gaetano Pecorella, deputato di Forza Italia, che un anno fa fu «fermato senza un perché», trattenuto per ore con la moglie in un ufficio e ridicolizzato dalla polizia francese, proprio in seguito alle tensioni createsi a una coda ai controlli. Altra musica a Francoforte, dove gli addetti allo scalo, in caso di ritardo, arrivano con un’auto sottobordo per accompagnare direttamente alla scaletta del volo in connessione, evitando corridoi aeroportuali e patemi d’animo.
Il Charles de Gaulle è anche inefficiente. Esemplare l’episodio accaduto 10 giorni fa a un imprenditore di Brescia, in rientro da Parigi a Verona con volo Air France. Dopo gli ok al check-in e all’imbarco, è stato malamente fatto scendere dal bus diretto all’aereo perché il biglietto della moglie recava il cognome da sposata anziché quello da nubile: ai due controlli, nessun impiegato se n’era accorto.

Gli è stato impedito di ricomprare un biglietto «regolare», gli è stata negata assistenza, e - soprattutto - è stato anch’egli «appiedato», con i due bagagli sbarcati «d’ufficio», nonostante sul suo biglietto non ci fosse nulla da eccepire. Naturalmente della vicenda ora si stanno occupando i suoi legali.

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