«E dopo questa maglia rossa mi regalo una Ferrari. Rossa»

Il suo nome è Vincente Nibali. Ci sono campioni presunti che emergono soltanto nelle corse presunte, ci sono campioni veri che emergono soltanto nelle corse vere. Vincenzo entra in pianta stabile nel ristretto Rotary di questa seconda specie: campione vero per corse vere. Giovane com'è, ha già presentato tutte le credenziali richieste: l'anno scorso settimo al Tour (primo degli italiani), quest'anno terzo al Giro d'Italia e quest'oggi, prego prendere nota con evidenziatore color oro, primo nella Vuelta di Spagna. A 26 anni, è già un signor curriculum. È pur vero che alla stessa età Contador ha vinto i tre grandi Giri, il Tour due volte, ma nella vita non nascono tutti Contador. E comunque calma: non è detto che prima o poi, magari, chissà, la sfida diretta non risulti meno impossibile di quanto appaia adesso. Lasciamolo crescere tranquillo, il nostro ragazzo. Ogni creatura ha i suoi tempi.
Intanto la doverosa sottolineatura: chiamato a reggere sull'ultima salitissima della Vuelta l'assalto del tarantolato Mosquera, sospinto dalla Spagna intera sulle strade di casa, Vincenzo non si lascia minimamente intimorire, lui che scattista non è, ed anzi firma una tappa d'autore. Negli ultimi chilometri di pendenza disumana lascia che l'idolo locale strappi gli applausi con i previsti scatti, ma prima del traguardo lo raggiunge con suprema autorità e gli lascia solo i pochi centimetri per la vittoria di consolazione. Incassa, tarantolato Mosquera: sarà per un'altra Vuelta.
È il trionfo, ma è soprattutto l'ulteriore indizio che fa una prova: oppresso da attese e tensioni, Nibali non crolla, anzi si esalta. Quanti giovani, in questi anni, abbiamo visto irresistibili alla vigilia, formidabili a chiacchiere, salvo poi svanire come bollicine d'aranciata alla prova della grande giornata? Nibali è dell'altra pasta: campione vero nelle giornate vere. È di taglia superiore, ha la caratura pregiata. Quando perde, non perde per tremarella: perde e basta.
Quanto sollievo per questa vittoria. La Vuelta non è il Tour e neppure il Giro. La Vuelta non aveva Contador e neppure Basso. Ma vincerla non è mai facile. I corridori di casa fanno volare gli stracci tutti i giorni, magari giocano pure sporco - hai visto mai: siamo pur sempre nell'unico Paese che sul doping dorme sonni eterni -, eppure Vincenzo Vincente li batte. Significherà pur qualcosa. Significa che i segnali intravisti negli ultimi mesi non sono miraggi. L'impresa del Monte Grappa, al Giro, l'aveva rivelato. Il terzo posto finale l'aveva confermato. La Vuelta, oggi, lo consacra in modo ufficiale e solenne. Con un dettaglio che non deve passare sottotraccia, per nessun motivo: nell'epoca d'oro del ciclismo superspecializzato, dei campioni che si spremono soltanto in una grande corsa a tappe perché due spompano, Nibali è l'unico a vantare nel 2010 due grandi Giri, d'Italia e di Spagna, corsi ai massimi livelli, in entrambi i casi conclusi sul podio.
Benvenuto Vincenzo. Benvenuto nella ristretta cerchia dell'orgoglio italiano. La sua è tutta una storia contromano e contromoda. Non è facile per un ragazzino della sua generazione fuggire dalla Play-Station e inseguire le fatiche della bicicletta. Lo è ancora meno per un ragazzino siculo, di Messina, che difatti deve pure lasciare lo Stretto ed emigrare in Toscana, se vuole coltivare la passione ed anche qualche sogno. Vincenzo ha una storia così, bella e semplice, quasi demodé. Per sua fortuna ha pure un intero borgo, Mastromarco, provincia di Pistoia, che lo prende in consegna e lo aiuta nel lavoro. Qualche volta lo vizia pure, ma solo quando serve, in modica quantità. La miscela è quella giusta: Nibali cresce con calma, senza fretta e senza improvvisi exploit, sempre così sospetti. Difatti, è uno dei pochi che non ha neppure macchie sulla coscienza. Con calma, ora sta diventando campione completo, salita-crono-discesa, ma soprattutto uomo per bene, concreto e umile, senza sfociare nell'insopportabile falsa modestia di tanti chierichetti impostori.
Solo il tempo dirà fin dove può arrivare questo nuovo volto italiano.

Già è qualcosa se i suoi connazionali, tutti presi da Ibra e Cassano, riusciranno dopo questa Vuelta buona a segnarselo in memoria. Il resto tocca a lui. Non c'è il rischio che questo primo trionfo gli riempia subito la pancia. Piuttosto, gli metterà appetito. Ci sarà un perché se lo chiamano Squalo.

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