E tra Quirinale e Palazzo Chigi è scontro aperto

RomaSfida? Conflitto? Duello finale? «Ma non scherziamo - dice in serata Silvio Berlusconi - e non parliamo di impeachment. I miei rapporti con il presidente della Repubblica sono sempre molto cordiali». Eppure è proprio uno scontro, durissimo e senza precedenti, quello che va in scena tra il premier e il capo dello Stato. Comincia a metà mattina, quando sul tavolo del Consiglio dei ministri convocato per il caso Eluana arriva una lettera di Napolitano che spiega che un decreto non si può fare e quindi non lo firmerà. Prosegue con il governo che approva comunque il decreto e con Napolitano che lo rispedisce comunque al mittente. E finisce con le luci accese fino a tardi al Quirinale, mentre a Palazzo Chigi una seconda riunione del Cdl vara un disegno di legge per bloccare lo stop all’alimentazione della ragazza. Anzi, non finisce. Lo strappo è profondo, dicono dal Colle, ricucirlo sarà un’operazione «lunga e difficile».
Dunque, niente decreto. Il Cavaliere è furioso. «Con la lettera - afferma - si introduce un’innovazione. Il capo dello Stato può intervenire in corso d’opera anticipando la decisione sulla necessità e urgenza di un provvedimento. Per questo abbiamo deciso all’unanimità di affermare con forza che il giudizio è affidato alla responsabilità del governo». Ma dal Quirinale filtra un’altra versione. Già giovedì sera, raccontano, Gianni Letta aveva parlato con il segretario generale Donato Marra sottoponendogli delle bozze provvisorie per avere una «valutazione preventiva». E ieri Napolitano ha risposto, mettendo però tutto nero su bianco. Una lettera privata, definita «riservata alla persona» e che non c’era alcun bisogno di rendere pubblica. «Il presidente del Consiglio poteva tenersela per sé, invece ha deciso di fare altrimenti».
Dunque niente decreto, così sostiene il capo dello Stato. Non si può fare «perché mancano i requisiti di necessità e urgenza», perché dopo la pronuncia della Cassazione si aprirebbe un pericoloso conflitto tra poteri e perché su una materia così «dolorosa e delicata come la fine vita» occorre «un rinnovato impegno del Parlamento», cioè una legge ordinaria. Napolitano conclude allegando una lunga casistica di rifiuti presidenziali a controfirmare dei decreti di Palazzo Chigi e invitando Berlusconi a soprassedere «per evitare un contrasto formale in materia di decretazione d’urgenza che finora ci siamo adoperati congiuntamente di evitare».
Ma il punto nodale forse è proprio questo. Il Cavaliere, in attesa di una riforma costituzionale che sveltisca la macchina, considera i decreti uno strumento quasi obbligato vista la situazione. Da qui la scelta di emanarlo lo stesso, farselo bocciare «con rammarico» da Napolitano e cercare di fare una legge in tre giorni. Il capo dello Stato è contrariato e, «dopo aver verificato che il testo non supera le obiezioni di incostituzionalità tempestivamente rappresentate», non concede la firma.


E per Berlusconi si apre anche un fronte con Gianfranco Fini, che da presidente della Camera difende le prerogative del Parlamento: «Desta preoccupazione - si legge in una nota ufficiale - che non sia stato raccolto l’invito, ampiamente motivato sotto l’aspetto formale, ad evitare uno scontro».

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