Paola Setti
da Genova
È la rabbia dellimpotenza quella che ieri ha sommerso la redazione del Giornale. Lettere, e-mail, telefonate, persino poesie. Perché la «gente normale», quella che la piccola e fin troppo grande storia di Maria lha letta sui giornali e ascoltata alla televisione, altro non può fare che farsi sentire. Come i coniugi Giusto, persone «normali» travolte da un caso, anche quello, più grande di loro. Hanno tentato tutto. Hanno cercato di smuovere lItalia intera e il Governo in primis. Non è bastato.
E allora resta limpotenza e resta la rabbia. «La Ragion di stato ha vinto sul senso di umanità, le voci coraggiose che si sono levate sono state soffocate in nome di una legalità formale che ignora le ragioni del cuore» scrive Giovanni Murchio. Cè chi, come Brunella Maietta, si indigna con il governo, perché «io non lho votato ma allestero rappresenta anche me», e chi del governo chiede le dimissioni, come Anna Pedrazzi che parla di «terribile prova di connivenza con lingiustizia».
Qualcuno ha letto della «legalità che va ripristinata» e replica che nemmeno nel Medioevo la si sarebbe pensata così, perché, fa notare Piero Vassallo che di storia è uno studioso: «Nel Medioevo la dignità della persona umana prevaleva sul senso dello Stato». In sette scrivono che aderiranno al Comitato per Maria nato a Cogoleto. In molti sottolineano come non si siano udite parole di indignazione da parte di chi, proprio in questi giorni, festeggiava la liberazione di Silvia Baraldini. Scrive per tutti una «mamma di Roma»: «mentre veniva data notizia della liberazione di Silvia Baraldini attivista comunista, condannata per gravi crimini di terrorismo negli Stati Uniti, liberata in violazione degli accordi con il governo statunitense, venivano pubblicate come si trattasse di delinquenti le facce oneste e pulite delle due ricercate, le nonne della piccola Maria. È lipocrisia di una politica che da un lato se ne infischia delle leggi, dallaltro si erge a tutrice occhiuta e inflessibile della legalità sulla pelle di una bambina di dieci anni».
Ci sono anche le condanne alle altre famiglie adottive, che contro la famiglia Giusto hanno minacciato di costituirsi parte civile, «a dimostrazione che la nostra è una società al contrario, dove chi abusa è tutelato, chi subisce viene messo al bando» scrive Massimiliano Frassi.
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