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E Reguzzoni revisionista padano cancella il nemico Maroni

Il capogruppo alla Camera scrive la «sua» storia del movimento: lodi a Rosi Mauro, investitura per Renzo. E raccoglie critiche: «Scomparsi gli avversari del Cerchio magico»

E Reguzzoni revisionista padano cancella il nemico Maroni

Mario Borghezio: non pervenuto. Roberto Maroni: liquidato in poche righe. Roberto Cota: ah, sì, c’era pure lui, undici lettere per citarlo nome e cognome. Gli avversari del «Cerchio magico» parlano già di «operazione revisionismo». Perché nel suo Gente del Nord, Marco Reguzzoni promette di raccontare «l’avventura della Lega vissuta dall’interno». Invece, come si faceva nel vecchio regime comunista, quella storia la riscrive cancellando dalla foto di gruppo chi, da qui in poi, si spera ne faccia parte stando in disparte.
Il capogruppo alla Camera dimentica «el Burghez», che sarà pure il volto impresentabile del Carroccio, ma ha contribuito a fondarlo. Non può non annoverare «Bobo» fra i protagonisti della grande epopea del Po, ma evita l’analisi del suo ruolo di padre fondatore, non accenna alla sua amicizia con Umberto Bossi, né al popolo di Pontida che lo ha acclamato con tanto di striscioni «Maroni premier». Sull’incarico di ministro dell’Interno concede solo: «Lo stop imposto dal governo Berlusconi all’immigrazione selvaggia» è stato possibile «attraverso il suo contributo». Epperò, Reguzzoni non dimentica di ricordare Maroni fra quelli che furono costretti a ricucire dopo lo strappo con Bossi quando fece cadere il primo governo Berlusconi. Se così è, inutile aspettarsi grandi lodi a quel Cota che con un miracolo ha strappato il Piemonte al Pd, e solo i maligni possono pensare che il governatore sia nel cono d’ombra dopo aver preso le distanze dal Cerchio magico. Gli esponenti del quale, invece, diventano luminosi eroi nel libro di Reguzzoni. Rosi Mauro? Chi non la ama nel movimento l’ha soprannominata «mamma Ebe» e annota la stranezza della sua carriera, da capa di un sindacato quasi inesistente come il SinPa a vicepresidente del Senato. Macché. A pagina 20 Rosi «la Pasionaria» diventa «una forza della natura», anzi, «una montagna», di più, «un vulcano pronto a eruttare fuoco e fiamme». Racconta Reguzzoni: «Da sempre amica della moglie di Bossi, Manuela, Rosi viene dall’esperienza delle fabbriche» ha doti da «vera sindacalista», è capace di «stare ad ascoltare per giorni e giorni» ma «a far saltare il tavolo ci mette cinque secondi». Un crescendo, fino al gran finale: «Bossi la stima per il coraggio e il carattere deciso, ma anche per la capacità di dire sempre la verità, anche quando è scomoda».
Già. Anche quando suggerisce a Bossi di commissariare province o Regioni, vedasi il putiferio che scoppiò quando cercò di silurare Giorgetti in Lombardia, e il pasticcio di Varese, che per la prima volta pochi mesi fa contestò il grande capo Umberto. «La verità è che la Rosi, prima che l’Umberto si ammalasse, politicamente non esisteva» annota un deputato maroniano. È sempre lì che si torna, all’11 marzo del 2004 e dell’ictus del Senatùr. C’erano lui, la Rosi e la Manuela. Gli altri anche, c’erano, ma Reguzzoni non li cita alcuno, e la scena la descrive così: «Bossi giace incosciente su un lettino, mentre attorno a lui decine di persone si affannano a guardare e a farsi guardare. Si ha quasi l’impressione che il paziente non sia la priorità. Io riesco solo a ottenere, non senza difficoltà, che stiano fuori dalla stanza almeno le scorte e i portaborse».
Lui e la Manuela, «che con piglio deciso fa sgombrare tutti dalla stanza e prende in mano la situazione». Situazione che, traducono i maroniani, da lì in poi include il partito. Non a caso, «la Manuela» Reguzzoni la racconta avvertendo che «la storia ne chiarirà un giorno la centralità, spazzando via maldicenze e dicerie», e lasciatemelo dire «anche se quando leggerà queste righe so che si arrabbierà molto, perché una costante della sua vita è la riservatezza assoluta».
È l’era del post-governo, bellezza. Da qui in poi, con la Lega di nuovo all’opposizione, le armate interne giocano l’ultima partita per la leadership. Così, Reguzzoni ricorda di quando Bossi lo volle candidato alla Camera e zittì i detrattori con un: si fa così e basta. Avverte chi pensa alla successione: «Il capo c’è e ci sarà, l’esercito di liberazione può continuare il suo lavoro». E poi dà il via alla campagna elettorale, elencando le cose che la Lega, lui capogruppo a Montecitorio, ha ottenuto al governo. Indicando vecchie e nuove sfide e un nome: Renzo Bossi. Uno che, cresciuto a feste e comizi, «è chiaro che ha il nostro progetto di libertà nel sangue» e per questo, giura Reguzzoni gelando la nutrita fronda interna di chi contesta il paternalismo: «I nostri militanti veri, fuori da logiche di potere e di palazzo, vedono in Renzo una speranza per il futuro.

Uno così non può tradire, non può vendersi, pensano a ragione».

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