«Chiediamo che il massacro mediatico ai danni di Mathias Bastareaud cessi immediatamente», chiede con un comunicato il sindacato dei giocatori di rugby francese. Ma è un appello che difficilmente verrà ascoltato: anche se in questo momento l'unica vittima accertata dell'affare Bastareaud è Bastareaud medesimo, il clamore e le conseguenze sollevate dalla faccenda ormai appaiono assolutamente fuori controllo. Tanto per dare un'idea: l'effetto devastante del caso nei rapporti diplomatici tra Francia e Nuova Zelanda rischia di mettere in crisi il faticoso tentativo di pacificazione in corso da vent'anni dopo che i servizi segreti di Parigi assaltarono una nave di Greenpeace all'interno delle acque territoriali neozelandesi.
In questo momento, Bastareaud è ricoverato in ospedale psichiatrico, in seguito - secondo alcune voci - ad un tentativo di suicidio. Di certo, il giocatore di colore dello Stade Francaise - il club più glamour del campionato transalpino - e della nazionale francese è travolto da un esaurimento nervoso che fa tanto più impressione se si hanno in mente le immagini di Bastareaud in campo, una macchina muscolare praticamente inarrestabile. E costringe a farsi nuovi domande sulla fragilità dei campioni del rugby moderno, troppo spesso protagonisti di episodi che raccontano come crescita muscolare e crescita mentale non sempre vadano di pari passo. E a volte sembrino marciare in direzioni opposte.
Tutto, come è noto, inizia la mattina del 21 giugno a Wellington, Nuova Zelanda. Bastareaud, che ha assistito dalla panchina alla sconfitta della sua squadra contro gli All Blacks per 14-10, denuncia di essere stato aggredito nella noitte mentre rientrava nell'albergo che ospita la Francia. «Erano in quattro o cinque - denuncia il manager della nazionale francese, Jo Maso - prima lo hanno aggredito verbalmente poi gli sono saltati addosso». L'impatto della rivelazione è subito assai ampio. Il tema della violenza urbana è, per il governo neozelandese, un tema assai caldo. E l'ipotesi di un movente razzista non aiuta a tenere bassa la tensione. I neozelandesi per qualche ora abbozzano, avanzano le loro scuse, annunciano l'apertura di una inchiesta. «Titta la nazione si unisce a me nel porgere le sue scuse alla vittima di questa brutalità», dichiara Steve Tew, presidente della federazione neozelandese di rugby. Bastareaud, inatnto, viene rispedito in Francia.
Il mercoledì successivo fanno sapere di avere individuato alcune ragazze che hanno accompagnato in albergo, poco prima dell'alba, tre giocatori francesi. E il giorno successivo se ne escono con una dichiarazione trionfale: le telecamere dell'albergo ritraggono Bastareaud mentre rientra alle cinque del mattino senza traccia di violenza sul volto.
Di fronte alla smentita, Bastareaud crolla senza fare storie. Ammette di essersi inventato tutto: «Ero ubriaco fradicio, sono caduto nella mia stanza picchiando la faccia contro il mobile del televisore. A quel punto sono andato nel panico, ho avuto paura che mi cacciassero dalla squadra, e mi sono inventato quella storia.
La cosa potrebbe finire lì. Una multa, una reprimenda. «Bastareaud sta tornando in Francia per andare in vacanza alle Antille», annuncia il presidente dello Stade Francaise, Mx Guazzini, che definisce quello del giocatore un «errore di gioventù» dovuto anche alla paura delle reazioni della famiglia, che «è molto religiosa». Invece l'affare ormai si è troppo sgonfiato senza travolgere Bastareaud. La federazione francese apre una inchiesta, «questo giocatore ha sporcato l'immagine di tutto il rugby francese» dicono i portavoce federali. «Giocare in nazionale significa assumersi la responsabilità di dare l'esempio e di rappresentare il proprio paese e la propria federazione», dice il presidente della Ffr Pierre Camou. Si annunciano sanzioni esemplari. Bastareaud crolla sotto la pressione mediatica. Pete Cowan, capo della polizia di Wellington, annuncia che «il caso è ufficialmente chiuso» ma «ci ha fatto perdere una enorme quantità di tempo». Il giocatore finisce ricoverato in clinica psichiatrica, ci resterà almeno quindici giorni intanto che i giudici federali stabiliranno la sanzione a suo carico per «avere infangato la maglia tricolore».
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