La notizia la trovo su un solo quotidiano e in taglio basso. La ricapitolo per i nostri lettori. A Nichelino, grosso centro alla periferia sud di Torino, la III G della locale scuola media sta allestendo il saggio di fine anno. Il titolo è inequivocabile: «Dico sì, dico no». Si parla di amori lesbici e di sesso da consumare senza complessi. Se non fosse per il preside che, allultimo momento ha scoperto la storia e ha bloccato tutto, gli illuminati adolescenti si sarebbero prodotti in una pièce da far sussultare nonni, genitori e fratellini. Leffetto non cè stato, ma limprinting sulle coscienze è avvenuto senza possibilità di... resettarle, come si fa coi computer.
Ci avevano lavorato un anno i ragazzi, sotto la guida di un insegnante e di un attore torinese. Il preside parla di un testo dal linguaggio «volgare e da bettola», ma gli adulti coinvolti, cominciando dal sindaco e dallassessore alla Cultura del Comune, reagiscono indignati parlando del divieto come di un errore, in quanto la scuola dovrebbe insegnare «tolleranza, democrazia e convivenza». Pallottole verbali, oltretutto sparate da unarma, quella della demagogia, che ormai non ha neppure il pregio della novità.
Sarebbero invece altre le parole cui far appello. Magari parlando di famiglia e del suo ruolo allinterno della scuola. I genitori degli studenti erano al corrente delliniziativa e, se sì, quanto erano concordi sul progetto e sui contenuti? E soprattutto, quanto erano daccordo che un tema così delicato venisse affrontato nei toni qualunquistici e retorici della tolleranza, un piede di porco per far passare tutto, quando lideologia è a corto di argomenti?
La psicologia più attenta ci dice che cè unomosessualità non strutturale, cioè non riconducibile ai primi anni dellinfanzia, legata allevoluzione psicologica delladolescente, quando alcuni comportamenti derivanti da unidentità non ben definita possono essere tranquillamente superati, incanalando la sessualità dei ragazzi verso prospettive eterosessuali o comunque di frontiere meno problematiche.
Quale credibilità pedagogica può avere una scuola che erroneamente e in malafede inculca nei ragazzi lidea che ogni condizione si equivale? Raccontare che restare di qua o di là è indifferente, togliendo loro ogni possibilità di andare a sciogliere i grumi di eventuali blocchi psicologici che ne condizionano lavvenire? Davvero lomosessualità costituirebbe una condizione di felice tranquillità, solo se la Chiesa e i politici si decidessero a mollare sui Dico?
È un sostanziale atto di disonestà far credere alle nuove generazioni che il problema è solo un fatto di costume e di cultura. Le parole rassicuranti servono alle ideologie e ai partiti che le supportano ma, nella sostanza, le ferite dellidentità sessuale non si affrontano e risolvono con le scorciatoie messe in piedi dai teatranti.
Dalle dichiarazioni degli organizzatori si evince che lo scopo delliniziativa era quello di educare alla tolleranza. La parola è nobile ma, in questi casi, difetta di credibilità. Quando si usa questa espressione quasi sempre lo si fa in riferimento al dogmatismo e al fondamentalismo. Bisogna essere tolleranti si dice - evitando le radicalizzazioni del pensiero. E qui, come la lingua che batte sul dente che duole, il pensiero va ai cattolici. Quasi mai si parla di essa in riferimento al relativismo, sapendo che esso è simmetrico, speculare al dogmatismo. Se questultimo è la certezza irremovibile sui principi, il primo è la certezza incrollabile del nulla e dellindifferente. Nello scenario culturale che ci circonda non è certo la fermezza dei cattolici a mostrarsi con i tratti del fondamentalismo e dellintolleranza anche violenta. La scelta della scuola di Nichelino denuncia comunque una tendenza antica, quella del condizionamento della politica di sinistra nella formazione degli studenti.
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