E la scure di Moody’s arriva anche in Germania

La scure di Moody’s si abbatte sulle banche tedesche. Sette gli istituti declassati di un gradino dall’agenzia di rating americana, tra i quali Commerzbank, la seconda banca della Germania, il cui rating a lungo termine è stato abbassato da A2 ad A3, con outlook negativo. La decisione ha riguardato anche la divisione tedesca di Unicredit, il cui rating è stato tagliato, a sua volta, da A2 ad A3, anche in questo caso con outlook negativo.
Colpite, inoltre, DekaBank e Dz Bank, e tre delle banche regionali del settore pubblico tedesco, la Landesbank Baden-Wuerttemberg, la Norddeutsche Landesbank e la Landesbank Hessen-Thueringen. La decisione, spiega Moody’s, è stata presa a causa «dell’aumentato rischio di ulteriori choc derivanti dalla crisi del debito dell’Eurozona in combinazione con la capacità limitata di assorbimento delle perdite delle banche». L’agenzia ha inoltre tagliato i rating delle tre maggiori banche austriache: Raiffeisen e Unicredit Bank Austria di un gradino, mentre Erste Group di due, a causa della loro esposizione alla crisi finanziaria nei Paesi dell’Europa dell’Est. Ma la doccia fredda è soprattutto sulla Germania di Angela Merkel, che sperimenta la bocciatura da parte dell’agenzia di rating, come è già accaduto a Italia, Spagna e Scandinavia. «È tempo di svelare il bluff della Germania», è il significativo titolo di un report degli analisti bancari di Mediobanca Securities, che suggerisce addirittura un attacco alla «Tripla A» di Berlino, considerata non più sostenibile. La mossa che i mercati dovrebbero fare per cercare di chiudere la partita della crisi europea consiste, secondo il team londinese di Piazzetta Cuccia capitanato da Antonio Guglielmi, in «una vendita massiccia di Bund tedeschi», che ne faccia salire i rendimenti e spinga il governo di Angela Merkel a decidere se uscire dall’area euro o, invece, allinearsi ai suoi partner europei aprendo il paracadute degli Eurobond. L’occasione potrebbe arrivare «dall’indebolimento della Spagna, potenzialmente bisognosa di un salvataggio, certamente in cerca di un fondo salva-banche». Lo spread tra gli Eurobond e i Bund tedeschi a sette anni viene calcolato ipoteticamente in 145 punti base, contro gli 85 punti base di un anno fa: è dunque chiaro che «l’opzione di prendere tempo, come ha fatto finora, è troppo conveniente» per Berlino. Ma in ogni caso «i bassi rendimenti dei Bund non riflettono il rischio a cui la Germania andrebbe incontro.

E cioè l’inaridirsi della domanda estera», dovuta alla morsa della recessione sul Vecchio Continente. Il rischio di un break-up dell’area euro potrebbe costare a Berlino perdite «fino a 600 miliardi di euro, il 25% del suo Pil».

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