«E se stesse rimuovendo quell’orrore?»

Il non ravvedimento di Erika, come ha decretato ieri la Cassazione, potrebbe avere una spiegazione psicologica: «La ragazza attua meccanismi di difesa di fronte ai gravi reati commessi, stabilendo con essi una distanza emotiva, che le permette di sopravvivere ad un dolore altrimenti intollerabile». È quanto spiega Marialori Zaccaria, presidente dell'Ordine degli psicologi del Lazio. Sottolineando di non conoscere la condizione psicologica della ragazza, Zaccaria sostiene che per una persona che ha ucciso la madre ed il fratellino con quelle modalità «è davvero comprensibile che non si ravveda, almeno secondo i criteri giuridici. Da un punto di vista psicologico ravvedersi cosa vuol dire? Dire «ho sbagliato?» In questo caso il dolore sarebbe così incontenibile e intollerabile che potrebbe indurre la persona ad essere estremamente pericolosa per se stessa e forse anche per gli altri». «Sicuramente Erika - continua l'esperta - avrebbe bisogno di essere seguita in modo costante e continuo per lungo tempo. Questa ragazza ha una personalità complessa. Ha bisogno di una terapia che l'aiuti a prendere atto e soprattutto a tollerare la sofferenza che è incontenibile. Mi chiedo se in carcere ha questa possibilità».
Paradossalmente, non ammettere ciò che ha fatto, «le permette di sopravvivere.

In pratica, si sta difendendo. Sono meccanismi funzionali comprensibili». L'allontanamento dal carcere e la permanenza in una comunità forse potrebbe aiutarla: «dipende però dal tipo di comunità e di sostegno che le viene dato».

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