E si moltiplicano i minareti fai-da-te

Se la dinamica con cui portare in città un luogo di preghiera islamico è nota - attribuire il titolo di associazione culturale a un capannone, e lì esercitare le attività di una moschea - oggi si verifica un altro fenomeno per raggiungere lo stesso scopo; meno impegnativo dal punto di vista economico e meno esposto ai controlli riservati ai luoghi di culto. Si tratta di allestire negli uffici, negli appartamenti o negli scantinati di uno stabile privato un piccolo centro di aggregazione. E, laddove i regolamenti non lo consentano, basta mantenere una certa riservatezza. Tra i casi più recenti ce n’è uno in provincia di Modena, a Carpi, dove nel mese di Ramadan due appartamenti hanno attirato l’attenzione per il gran numero di fedeli che raggiungeva lo stabile ogni venerdì: circa 120. Il condominio in questione è il «Tre Torri», dove quelle sale vengono utilizzate per incontri, lezioni e preghiere ancora oggi. Il Comune ha ordinato un controllo, mesi fa, e sulla carta pare tutto regolare: «Durante il sopralluogo vi erano 24 persone sedute a terra di fronte a una persona che parlava - scriveva la polizia municipale -. La destinazione d’uso è quella di ingresso, ufficio e archivio». Difficile dunque intervenire.
Situazione analoga si è verificata a Napoli, dove da circa due mesi è attiva quella che i musulmani chiamano «la terza moschea della città». Si tratta invece di un normale appartamento, poco distante dal centro cittadino, in cui immigrati di origine asiatica hanno installato una sala riunioni successivamente adibita a moschea. I fedeli napoletani attendono il nome dell’imam che andrà a predicare fra quelle quattro mura, e al momento fanno presente solo che lì nessuno parla italiano. Questi microcentri di preghiera, di difficile individuazione, preoccupano gli stessi musulmani, che temono un’influenza negativa sugli equilibri della comunità, di per sé già molto delicati. Anche la città di Varese è stata interessata, lo scorso anno, quando alcuni abitanti si sono chiesti a che cosa servissero i lavori di ristrutturazione di un magazzino in viale Valganna. Al civico 42 sembravano pronte due stanze per la preghiera e una sala conferenze in un seminterrato di 270 metri quadrati. Mentre a Piacenza il sindaco ha recentemente provveduto a scoraggiare la preghiera in uno stabile adibito a centro di preghiera per il mancato rispetto delle leggi in materia di sicurezza.
A Vercelli, invece, c’è in corso un piccolo caso: parte della cittadinanza ha reagito vigorosamente all’ipotesi di aprire una moschea in città, così molti musulmani della provincia affollano ormai da settimane un appartamento di 100 metri quadrati a Trino (Vc). Già luogo di raccoglimento nel mese di Ramadan per un’ottantina di musulmani, ora tutti lo considerano una valida alternativa, più riservata, ai fasti di una moschea per la quale ci sarebbero da mettere d’accordo troppe persone.
Invece la comunità islamica di Pordenone si è organizzata a tempo di record, quest’estate, e da poco ha ottenuto un luogo più grande per accogliere gli oltre duecento fedeli, stipati in una specie di magazzino fino a poco tempo prima. Il luogo era concepito per un massimo di cinquanta persone, ma ogni venerdì lo raggiungevano quasi quattrocento fedeli, e le automobili restavano parcheggiate per ore lungo la strada.

Dai frequenti sopralluoghi delle forze dell’ordine risultavano occupati parcheggi privati e passi carrabili, così il sindaco ha firmato un provvedimento di chiusura, lasciando che i musulmani possano pregare in periferia.

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