RomaPrima una veloce stretta di mano, con Fini che per primo fa il gesto e Berlusconi a seguire. Poi, al termine della cerimonia per il 62° anniversario della nascita dello Stato di Israele, una mezzora buona davanti a taccuini e telecamere per dire chiaro cosa pensa della direzione nazionale del Pdl che si terrà oggi allAuditorium della Conciliazione. Con toni sobri e modi prudenti, tra i quali però non passa inosservato quello che è un vero e proprio affondo al presidente della Camera. Perché bollare pubblicamente come «metastasi» le correnti, peraltro citando proprio un intervento di Fini di qualche anno fa, e ribadire che «la minoranza deve adeguarsi alla maggioranza» a poche ore dalla direzione è unaccelerazione che il presidente della Camera non si aspettava.
Un modo per metterlo allangolo sin dalla vigilia della direzione che, ci tiene a dire il premier, avrà «tre momenti importanti». Quali? «Il primo: ci sarà il commento dei recenti risultati elettorali e quello sulle continue vittorie avute negli ultimi due anni dal Pdl dovunque si sia presentato. Il secondo: parleranno i ministri che si soffermeranno sul gran lavoro fatto in questi due anni di governo e sul gran lavoro che dovremo fare nei prossimi tre. Il terzo: si aprirà la discussione, cui avranno la possibilità di partecipare tutti coloro che si iscriveranno e che il tempo consentirà di far parlare».
Il caso Fini, insomma, sarà solo un inciso di questo terzo passaggio. Niente di più, perché «non bisogna attribuire nessun altro significato e scopo a questa direzione del partito». Derubricato a una parentesi anche quando i cronisti gli chiedono le ragioni dello strappo del presidente della Camera: «Mi chiedete perché Fini si è spinto a questo? È una domanda che dovete fare a lui non a me... ». E poi rincara la dose: «Non è possibile che ci siano correnti che qualcuno ha definito metastasi dei partiti». Citazione, guarda un po, rubata proprio a Fini che bollò come «metastasi» le minoranze interne ad An. E se si arrivasse a una scissione? «Mi auguro di no, ma in ogni caso il governo andrebbe avanti comunque». La sintesi, quella che fa in privato durante le tante riunioni a Palazzo Grazioli, è piuttosto semplice: questa volta mettiamo la parola fine, o si adegua o va via. Anche perché, aggiunge riferendosi alle difficoltà della maggioranza alla Camera, sono stanco di vedere il Vietnam in aula.
Il punto, dunque, è che il Cavaliere è deciso a ottenere garanzie chiare. La principale è che se Fini vuole il diritto di parola, deve assicurare che le decisioni siano prese a maggioranza.
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