E sui rigori di uniformità ce ne sono due

Sui rigori la spaccatura è enorme: lo raccontano senza tema di smentita le statistiche che fanno riferimento alle prime ventuno giornate di Serie A. Ci sono sei fischietti (Bergonzi, Damato, Dondarini, Gervasoni, Tagliavento e Trefoloni) che in 51 partite hanno indicato per 38 volte il dischetto dagli undici metri. In cima a questa particolare classifica figurano Tagliavento e Dondarini con 8 rigori a testa: il primo in 9 incontri, quasi uno a presenza; il secondo in 11 gare. Altri sei arbitri (Ayroldi, Banti, De Marco, Celi, Giannoccaro e Rocchi) ne hanno concessi appena 3 nello stesso numero di partite, incredibile analogia. Ayroldi, Banti e Giannoccaro sono addirittura a secco. Una specie di idiosincrasia che non risparmia neppure Farina e Rizzoli: entrambi fermi a 2 rigori pur avendo diretto rispettivamente 11 e 12 gare. Ne scaturisce una realtà preoccupante sull'uniformità di interpretazione e di giudizio: un gruppetto di arbitri fischia 3 rigori ogni 4 partite, mentre un altro è riuscito a scovare solo 3 falli da punire con la massima punizione in quasi 81 ore di gioco. La percentuale precipita in maniera vistosa, preoccupante, perfino paradossale: dal 74,5% dei rigoristi al 5,9% dei non rigoristi. «In media stat virtus», dice un saggio latino.

Ma non possono scaturire discrepanze così notevoli all'interno di un gruppo che dovrebbe fare dell'omogeneità la qualità migliore: ai poli il draconiano Tagliavento che, al di là degli errori visivi, punisce il minimo contatto, e il buonista Rocchi che permette ai difensori ogni tipo di intervento falloso. Basta rivedere le immagini.

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