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E sul dipietrista Orlando si abbatte la vendetta postuma di Ciancimino

Nella versione letteraria, e più approfondita, del «papello», Vito Ciancimino affrontava temi caldissimi tornati oggi di straordinaria attualità. Le 260 pagine del suo libro Le mafie, mai dato alle stampe per sopraggiunto decesso dell’autore, rappresentano uno spaccato inquietante di temi caldissimi tornati d’attualità con la vicenda della presunta trattativa fra stato e antistato mafioso. In particolare Ciancimino si soffermava sui delitti eccellenti (Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa) sul ruolo politico di Andreotti, di Lima, di Piersanti Mattarella, sul modo di fare le indagini di Giovanni Falcone e via discorrendo. Con particolare livore il defunto ex sindaco di Palermo si soffermava, però, su un altro ex sindaco, ex democristiano come lui, a cui dedicava un intero capitolo. Il ventiquattresimo: uno scritto contro Leoluca Orlando, passato dallo scudocrociato bazzicato da qualche mafioso al partito che si professava antimafia per eccellenza, quello della Rete (oggi Orlando è parlamentare dell’Idv). Scomodando le note categorie di Sciascia - che confessa d’aver incontrato quattro volte - Ciancimino fa le pulci su tutto all’ex collega democristiano; dai rapporti coi politici siciliani dc poi rinnegati alla gestione scellerata di determinati appalti come quello sulla manutenzione delle strade e delle fogne del 1985. E nell’elencare le «prodezze» di Orlando, Ciancimino lo sfida a un pubblico dibattito per chiarire come stavano veramente le cose nel partito. A cominciare dalla vecchia querelle sulle circostanze che portarono il genitore di Orlando alla presidenza del Banco di Sicilia (per Ciancimino fu il discusso Bernardo Mattarella a volerlo «in quanto suo amico e uomo di fiducia» mentre per Orlando la nomina scaturì per l’odio che Mattarella aveva per Franco Restivo). «Questo episodio di per sé insignificante - scrive Ciancimino - è stato scritto da Orlando (vergognosamente) per testimoniare che il padre (puro come lui) era ben “distante” da Bernardo Mattarella ritenuto (dai comunisti) impuro». A riprova di ciò, Ciancimino cita la famiglia Mattarella «ed in particolare il figlio Sergio (vicesegretario dc) di cui il “prode” Orlando è stato seguace fino a quando non ha “lasciato” la Dc per cascare... nella Rete». Ma la verità vera, scrive sempre Ciancimino, è che «sono stato io e col pieno consenso di Bernardo Mattarella ad offrire la candidatura nelle liste della Dc per le regionali al prof. Salvatore Orlando Cascio». Che per la cronaca poi rifiutò l’invito.

A detta di Orlando figlio - osserva Ciancimino - perché sarebbe stato «costretto a prendere i voti dei mafiosi e dei loro amici». Quindi, taglia corto Ciancimino, «per ammissione del figlio, il professor Salvatore Orlando Cascio era “amico” dei “mafiosi”...».

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