E per la tragedia del Bianco è in arrivo la sentenza

Il 27 luglio un tribunale francese deciderà sulle accuse contro i tredici imputati

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Federica Artina

È il 24 marzo 1999: Gilbert Degrave sta guidando il suo tir all’interno del traforo del Monte Bianco, quando a un certo punto scorge del fumo che esce dal motore. Scende dall’automezzo, ma prima ancora di riuscire a prendere l’estintore le fiamme divampano. Degrave si lascia sopraffare dalla paura e scappa. Fugge verso l’uscita del traforo, lasciando alle sua spalle un rogo che ucciderà trentanove persone.
È la tragedia di cui in Italia si ha il ricordo più dolente, anche perché il processo per determinarne i colpevoli è ancora più vivo che mai. Da quel giorno l’uomo dice di «vivere in un incubo» e di «rivedere davanti agli occhi quella scena decine di volte al giorno». Trentanove vittime, di cui dodici italiani. Trentanove vite spezzate in quella galleria che faceva paura anche a chi la percorreva avanti e indietro per mestiere, proprio come Degrave. «Attraversavo il traforo del Monte Bianco almeno quaranta volte all’anno. L’ho fatto per vent’anni e ho sempre avuto paura. Percorrendolo avevo sempre la sensazione di aggiungere un chiodo alla mia bara. Era ovvio che prima o poi capitasse qualcosa in quel tunnel; non poteva non succedere». Parola di Walter Deneve, camionista come Degrave.
Ora, a oltre sei anni dall’incidente, le famiglie delle vittime aspettano il prossimo 27 luglio, quando il Tribunal Correctionel di Bonneville in Francia emetterà la sua sentenza, dopo sei mesi di udienze e sei anni di pena dei parenti delle vittime. E un risarcimento economico che nessuno ha mai visto. L’avvocato Matteo Rossi, legale dell’associazione parenti delle vittime e di alcune famiglie che si sono costituite parte civile al processo, lo scorso 16 dicembre ha istituito un fondo di solidarietà, nelle cui casse la Sitmb, Società italiana traforo Monte Bianco, ha versato 13 milioni e mezzo di euro. La Sitmb, i cui responsabili risultano tra i sedici imputati del processo. Oltre all’autista del tir che prese fuoco nel mirino della giustizia ci sono anche molti membri delle società addette alla gestione del traforo. Sitmb, appunto, ma anche la sua gemella francese Atmb, e la Sgtmb che forniva il personale addetto alla sicurezza. Già, la sicurezza. Cosa non funzionò quella terribile mattina in galleria? Le società responsabili della manutenzione della galleria hanno sempre respinto le accuse di non aver investito abbastanza in impianti di sicurezza negli anni precedenti la tragedia.
L’Atmb dichiarò di avere speso 103 milioni di franchi per rendere la struttura più sicura. L’associazione dei parenti delle vittime è pronta a giurare che la spesa non superò i ben più esigui 200mila franchi. Dopo l’incendio i lavori di messa a norma del traforo durarono quasi tre anni e il tunnel riaprì il 9 marzo del 2002. E la condanna più grave è stata chiesta dall’accusa per Gérard Roncoli, il direttore tecnico della galleria nonché responsabile della sicurezza della parte francese del tunnel. Tre anni di reclusione, con la condizionale. Per l’autista sono stati chiesti sei mesi.
Nell’inchiesta è finita anche la Volvo, la casa produttrice del camion che prese fuoco.

Risultò, infatti, che quelle motrici erano già state particolarmente esposte a incendi e la stessa Volvo aveva avviato una campagna di richiamo in fabbrica per effettuare le modifiche tecniche del caso. Modifiche che, probabilmente, non erano state effettuate su quel veicolo. Una girandola di «se» che si fermerà solo a sentenza emessa. Forse.

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