Federica Artina
È il 24 marzo 1999: Gilbert Degrave sta guidando il suo tir allinterno del traforo del Monte Bianco, quando a un certo punto scorge del fumo che esce dal motore. Scende dallautomezzo, ma prima ancora di riuscire a prendere lestintore le fiamme divampano. Degrave si lascia sopraffare dalla paura e scappa. Fugge verso luscita del traforo, lasciando alle sua spalle un rogo che ucciderà trentanove persone.
È la tragedia di cui in Italia si ha il ricordo più dolente, anche perché il processo per determinarne i colpevoli è ancora più vivo che mai. Da quel giorno luomo dice di «vivere in un incubo» e di «rivedere davanti agli occhi quella scena decine di volte al giorno». Trentanove vittime, di cui dodici italiani. Trentanove vite spezzate in quella galleria che faceva paura anche a chi la percorreva avanti e indietro per mestiere, proprio come Degrave. «Attraversavo il traforo del Monte Bianco almeno quaranta volte allanno. Lho fatto per ventanni e ho sempre avuto paura. Percorrendolo avevo sempre la sensazione di aggiungere un chiodo alla mia bara. Era ovvio che prima o poi capitasse qualcosa in quel tunnel; non poteva non succedere». Parola di Walter Deneve, camionista come Degrave.
Ora, a oltre sei anni dallincidente, le famiglie delle vittime aspettano il prossimo 27 luglio, quando il Tribunal Correctionel di Bonneville in Francia emetterà la sua sentenza, dopo sei mesi di udienze e sei anni di pena dei parenti delle vittime. E un risarcimento economico che nessuno ha mai visto. Lavvocato Matteo Rossi, legale dellassociazione parenti delle vittime e di alcune famiglie che si sono costituite parte civile al processo, lo scorso 16 dicembre ha istituito un fondo di solidarietà, nelle cui casse la Sitmb, Società italiana traforo Monte Bianco, ha versato 13 milioni e mezzo di euro. La Sitmb, i cui responsabili risultano tra i sedici imputati del processo. Oltre allautista del tir che prese fuoco nel mirino della giustizia ci sono anche molti membri delle società addette alla gestione del traforo. Sitmb, appunto, ma anche la sua gemella francese Atmb, e la Sgtmb che forniva il personale addetto alla sicurezza. Già, la sicurezza. Cosa non funzionò quella terribile mattina in galleria? Le società responsabili della manutenzione della galleria hanno sempre respinto le accuse di non aver investito abbastanza in impianti di sicurezza negli anni precedenti la tragedia.
LAtmb dichiarò di avere speso 103 milioni di franchi per rendere la struttura più sicura. Lassociazione dei parenti delle vittime è pronta a giurare che la spesa non superò i ben più esigui 200mila franchi. Dopo lincendio i lavori di messa a norma del traforo durarono quasi tre anni e il tunnel riaprì il 9 marzo del 2002. E la condanna più grave è stata chiesta dallaccusa per Gérard Roncoli, il direttore tecnico della galleria nonché responsabile della sicurezza della parte francese del tunnel. Tre anni di reclusione, con la condizionale. Per lautista sono stati chiesti sei mesi.
Nellinchiesta è finita anche la Volvo, la casa produttrice del camion che prese fuoco.
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