Un ebreo ai vertici del partito di Arafat

Per la prima volta un ebreo è stato eletto ai vertici di Fatah, il partito dell’ex leader Yasser Arafat. Uzi Davis (nel tondo, ndr), 66 anni, passaporto israeliano e britannico, è professore all’università araba al Quds.
Lo storico movimento palestinese ha da poco chiuso il suo primo congresso in vent’anni. L’obiettivo non troppo celato della conferenza era il tentativo di reinventare il partito e rinnovare l’immagine del gruppo che, in seguito alla vittoria dei rivali di Hamas alle elezioni del 2006 e alla disfatta militare a Gaza nel 2007, cerca di tornare protagonista della scena palestinese. L’entrata dell’israeliano Davis al secondo organo decisionale del partito, il Consiglio rivoluzionario, può essere parte del tentativo di Fatah di apparire diverso, anche se il professore non è in realtà un volto nuovo nel gruppo, di cui è membro dagli anni Ottanta. Dopo il voto, Davis è apparso sorridente, al collo la keffiyeh bianca e nera, simbolo del nazionalismo palestinese.
Il professore è nato nella Gerusalemme del mandato britannico da una famiglia di immigrati ebrei sionisti. Eppure oggi preferisce presentarsi come «palestinese ebreo, antisionista». È stato tra i primi obiettori di coscienza israeliani. Ha cominciato l’attività di militanza politica negli anni Settanta avvicinandosi a gruppi per i diritti umani, ma con il passare del tempo è andato oltre la sinistra israeliana più radicale fino a denunciare Israele definendolo uno «Stato di apartheid» in libri e pubblicazioni. Non sostiene, come fanno la comunità internazionale, Israele e la stessa Autorità nazionale palestinese di cui Fatah è parte, la soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese ma, come scrive sul suo sito - www.uridavis.info - uno «Stato democratico comune».
Davis è sposato con una palestinese e convertito all’islam. La sua elezione ha sollevato curiosità e l’attenzione dei mass media, dei giornali palestinesi ma soprattutto di quelli israeliani, anche se non si tratta di una prima assoluta: l’israeliano Ilan Halevi fu infatti attivo nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina negli anni Ottanta. In Israele il pubblico è interessato alle sue posizioni per quanto riguarda la lotta armata palestinese. Soltanto nel 2008, un attentato che ha ucciso una donna e ferito 40 persone nella città meridionale di Dimona è stato rivendicato anche dalle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, braccio armato di Fatah.
Nel congresso che si è appena chiuso, il rais Abu Mazen ha reiterato l’appoggio dell’Anp al processo di pace, ma anche alla «resistenza» come opzione, una dichiarazione che ha sollevato polemiche in Israele.

«Davis è favorevole alla lotta armata dei palestinesi contro l’occupazione in Cisgiordania», gli ha chiesto la radio militare israeliana ieri? «Fatah - ha risposto - non fa appello alla lotta armata, ma si limita a rilevare che quella è un’opzione legittima per i popoli sottoposti a occupazione militare».

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