Ecclestone e gli altri fanatici del nazismo

EQUIVOCI C’è chi critica i libri di Jonathan Littell. Ma lo scrittore vuole solo capire, non giustificare

Ecclestone e gli altri fanatici del nazismo

Tecnicamente è l’ultima, pericolosissima frontiera del revisionismo storico. Tecnicamente è apologia di reato, e mediaticamente è puro suicidio.
Ultimo grande e inviolabile tabù ereditato dal Novecento, il giudizio sul nazismo è lo spartiacque sociale e intellettuale tra buon senso da un parte e follia (o stupida provocazione) dall’altra. Eppure, per quanto parlare in termini meno che deprecabili del nazismo sia un modo sicuro per giocarsi carriera e reputazione, a volte succede che qualcuno incautamente finisca per scivolarci sopra. L’ultimo - ieri - il patron della Formula Uno, Bernie Ecclestone. In un’intervista al Times ha criticato l’inefficienza dei politici moderni e delle democrazie, lodando i regimi totalitari. «Hitler sì che sapeva far funzionare le cose», ha dichiarato. Qualche milione di sterline di patrimonio e 78 anni di età, Ecclestone tra le altre cose si è detto sicuro che il presidente della Federazione mondiale dell’auto, Max Mosley, potrebbe essere «un eccellente primo ministro». Mosley, per la cronaca, è l’altro eccentrico miliardario britannico, secondogenito del nazista inglese sir Oswald Mosley, fondatore nel 1932 della British Union of Fascists, che fu protagonista di una ormai celebre orgia nazi-sadomaso in un lussuoso appartamento di Chelsea nel marzo 2008. Per Ecclestone «Hitler, al di là del fatto che alla fine è stato persuaso a fare cose che non so se voleva fare, era nella condizione di comandare molta gente e di far funzionare le cose. Alla fine però si è perso». Sieg Heil.
A Mosley andò bene: pubblica reprimenda ma nessuna epurazione. A Ecclestone cosa succederà? Nell’ottobre del 2006 il cantante Bryan Ferry confessò candidamente a una rivista tedesca, Welt am Sonntag, la propria ammirazione per la macchina propagandistica del Terzo Reich: «Dio mio, i nazisti sì che sapevano presentarsi: i film di Leni Riefenstahl, e gli edifici di Albert Speer, e le parate di massa... incredibili. Veramente tutto bello», si lasciò andare estasiato. Il giorno, dopo, tramite il suo manager, consegnò alla stampa un comunicato in cui affermava di essere «sconvolto» aggiungendo le scuse per qualsiasi offesa causata dai suoi commenti sull’iconografia hitleriana eccetera eccetera concludendo che «Io, come chiunque sano di mente, trovo che il regime nazista sia stato malefico». Al principino Harry, terzo in linea di successione al trono di Inghilterra, paparazzato con la svastica al braccio a una party in maschera in una casa privata nello Witshire, andò molto peggio. Oltre alle pubbliche scuse di rito - «Se ho offeso qualcuno, sono molto dispiaciuto», scrisse in una nota il figlio più giovane della principessa Diana - rischiò anche un viaggio riparatore ad Auschwitz: con pessimo tempismo inglese aveva organizzato la festa - nel gennaio 2005 - due settimane prima della Giornata di commemorazione dell’Olocausto. La foto pubblicata dal Sun sotto il titolo «Gioventù hitleriana» fece comprensibilmente il giro del pianeta. In ossequio al criterio di notiziabilità secondo il quale il «peso» informativo di un fatto è proporzionato alla fama del protagonista, quando l’aprile scorso su un giornale di Vigevano apparve l’immagine di un sagrestano con la svastica al braccio, la foto si fermò all’inserto Lombardia del Corriere della sera.
Fino a qui il folklore. Oltre, sul fronte della rivalutazione del nazismo, ci sono l’ideologia da una parte e alcuni «scomodi» studi scientifici dall’altra. Al netto del negazionismo di Ahmadinejad o di alcuni lefebvriani (e del successo editoriale dei Protocolli dei Savi di Sion nel mondo islamico o del Mein Kampf in qualche insospettabile paese occidentale) in ambito accademico si registrano timidi tentativi di rilettura di alcuni aspetti del Reich. Anni fa il filosofo tedesco Peter Sloterdijk pubblicò un saggio su Heidegger in cui auspicava il ricorso alle nuove tecniche di clonazione guadagnandosi accuse di cedimento all’eugenetica nazista (e causando la rottura del suo sodalizio intellettuale con Jürgen Habermas). Mentre suscitò accese polemiche nel 2000 l’uscita del libro La guerra di Hitler al cancro di Robert Proctor, da alcuni letto come una velata esaltazione di quelle politiche sanitarie ed ecologiche nelle quali il nazismo fu all’avanguardia e che oggi sono il fiore all’occhiello delle democrazie avanzate. Qualcosa di simile, sul piano dell’analisi economica, è accaduto allo studio Tre New Deal di Wolfgang Schivelbusch, del 2008, in cui il giudizio sulla Germania di Hitler, dal punto di vista dello stato sociale, non è per nulla sfavorevole rispetto agli Stati Uniti di Roosevelt o l’Italia di Mussolini. Nel campo letterario, invece, qualche purista benpensante ha arricciato il naso davanti ai libri dell’americano Jonathan Littell, reo nel 2007 di un romanzo «simpatizzante» nei confronti di un disumano ufficiale delle SS (Le Benevole) e, quest’anno, di un saggio «dedicato» al nazista belga Léon Degrelle (Il secco e l’umido). In realtà nessun revisionismo, ma solo il tentativo di capire il Male Assoluto. Il problema, come spesso accade anche nel giudizio riservato a qualche film «simpatetico» con figure che indossano la svastica (a partire dal recente The Reader con Kate Winslet splendida aguzzina nazista), è che per alcuni tentare di capire significa inevitabilmente - chissà perché - giustificare.

Allora, tanto vale andarsi a vedere The Inglorious Bastards di Quentin Tarantino, dove le SS, di fronte alla ferocia dei soldati americani, fanno quasi tenerezza. O 300 di Zack Snyder, quello sì un film che profuma di nazismo in slow-motion.

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