Ecco la baraccopoli dove si nascondono i rom

Sui Navigli roulotte e bivacchi dietro i muri di cinta: una città «invisibile» sempre più popolata

Via Lodovico il Moro, nel tratto compreso fra la chiesa di San Cristoforo e Corsico: case basse, verde e la tranquillità tipica dei vecchi borghi popolari. La pista ciclabile, sulla sponda destra del naviglio, è un via vai di bici e mamme con i passeggini. Appena dietro i cespugli e il muro della ferrovia, al riparo dallo sguardo dei passanti, sorge la città nascosta. Decine di baracche solo in apparenza disabitate. A testimoniare il passaggio di persone sono le reti, divelte negli angoli, e i cumuli di rifiuti abbandonati.
Qui si nascondono gli zingari sgomberati dai grandi campi della città. Hanno occupato casolari diroccati e con le finestre sigillate dai mattoni, trasformandoli nelle proprie roulotte. La loro presenza è sconosciuta alla maggior parte dei milanesi, ma è diventata un problema per gli abitanti della zona, che lamentano violenze e soprusi quotidiani.
La favela che non ti aspetti si estende lungo il Naviglio grande, fino a lambire via Gonin, Lorenteggio e la circonvallazione. Sono decine di migliaia gli automobilisti che ogni giorno percorrono quelle strade. In pochi si accorgono della presenza degli zingari. Per capire cosa succede al di là dei muri e dei cancelli, bisogna salire in alto.
Per esempio sul ponte Giordani, il nuovo cavalcavia che collega via Gonin con Buccinasco. Appena sotto c’è un vecchio edificio abbandonato. Il cortile è una discarica, piena di materassi, vestiti e giochi per i bambini. Le finestre sono sigillate, ma una piccola apertura - creata per far passare l’aria - svela la cucina, arredata e piena di provviste. Il cancello è chiuso con una catena, ma dall’altra parte un uomo e una donna prendono aria sotto un albero. Poco distante c’è un palazzo semi demolito. Per molto tempo è stato il rifugio di decine di rom. Ai suoi piedi sorge una vecchia casetta. Ci vive una famiglia di zingari. Otilia, non avrà più di 15 anni, spiega: «Abito qui da tanto con mio padre e i miei tre fratelli. Qui intorno ci sono tante baracche. Qualche giorno fa una di queste è stata distrutta da un incendio».
Dal cavalcavia ferroviario di viale Cassala si scorge un altro angolo della favela. Anche qui vecchie case fatiscenti ospitano decine di rom. In cortile hanno tutto l’occorrente per vivere: frigoriferi, tavoli, sedie e stendipanni. E sempre in viale Cassala, al di là di un ponte che attraversa il cavalcavia, le sponde del Lambro sono diventate un altro piccolo accampamento. Qui i rom vivono indisturbati fra la vegetazione, utilizzando il corso d’acqua per rinfrescarsi e lavare i panni.
Strutture come questa sorgono un po’ ovunque nella zona. Nelle vicinanze del circolo Canottieri, della chiesa di San Cristoforo e della residenza per anziani Il Naviglio. Al di là di un cancello, sono decine i materassi e i teloni ammassati. Segno che alcuni rom non sono stabili. Depositano i propri oggetti in attesa di trovare un posto nel quale insediarsi.

Qualche volta qualcuna di queste strutture finisce bruciata o distrutta. Ma per i nomadi della metropoli non è un problema. Perché, conclude scoraggiato un residente: «Abbandonato un accampamento, sono subito pronti a crearne un altro».

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