Ecco la bisnonna di tutte le cause: dopo 65 anni è ancora in alto mare

MilanoIl bisnonno di tutti i processi, il veterano dell’esercito dei fascicoli impolverati, ha una data di nascita che fa impressione: 1971, trentotto anni fa, quando viene decretato dal tribunale di Milano il fallimento della Costruzione Edili Speciali spa. E già così è difficile immaginare come sia possibile e che senso abbia che un procedimento giudiziario vada avanti per trentotto anni, sopravvivendo a giudici, curatori, creditori, avvocati, tutti o quasi passati a pensione o miglior vita mentre la giustizia - lenta e inesorabile - faceva il suo corso. Ma ancora più straordinaria e imperscrutabile questa storia diventa quando si scopre che la data di nascita di tutta la faccenda è ancora più remota. Per iniziare a raccontarla bisogna andare indietro di sessantacinque anni, quando su Milano spargevano morte e distruzione i bombardieri inglesi e americani. Il terribile inverno del ’44.
Adesso, giurano alla sezione fallimentare di Milano, siamo vicini alla fine. Il fascicolo sta per essere chiuso, ed è la riprova di quanto gli avvocati di tutta Italia spiegano ai loro clienti all’inizio di ogni causa: «Bisogna avere pazienza». Con un po’ di pazienza, tutto si risolve e la sentenza arriva. Certo, fa un po’ effetto pensare che sono passati davvero trentotto anni. Andava di moda la minigonna, e la Coppa dei campioni era fresca nella bacheca dell’Inter.
Non era una società da poco, la Ces. Il suo creatore era l’ingegnere svizzero Dario Pater, pioniere dell’industria delle case prefabbricate, amico personale di Benito Mussolini, inventore del mitico Populit, materiale da costruzione autarchico, «fibre di legno mineralizzate con cemento ad alta resistenza, termicamente ed acusticamente isolante». Le case di Pater spuntano in quasi tutte le urbanizzazioni del regime: Acilia, Solaria, i nuovi quartieri di Riccione dove la villa personale di Pater sorge accanto a quella di Vito Mussolini, nipote del Duce. Insomma, gli affari dell’ingegnere sembrano andare a gonfie vele. Peccato che scoppi la guerra. E, insieme al crollo del fascismo, arrivano le incursioni alleate a devastare le città. I quartieri costruiti a forza di Populit si sbriciolano sotto le bombe. Per la Ces, è il crollo. La società di Pater non si riprenderà mai più.
All’inizio degli anni Cinquanta il tribunale di Milano ammette la società all’amministrazione straordinaria. Il fascicolo resta lì, più o meno congelato. Nel 1966, visto che l’azienda non dà segno di ripresa, il tribunale concede il concordato preventivo, l’ultimo tentativo prima di rassegnarsi al fallimento. Niente da fare. Nel 1971 la Costruzioni Edili Speciali viene dichiarata fallita con sentenza del tribunale di Milano. Viene nominato un giudice delegato, che a sua volta sceglie il curatore destinato a fare il conto di quanto c’è in cassa e di quanto si può recuperare in giro, e di redistribuirlo ai creditori secondo quanto stabilito della legge. E a questo punto che - come un astronauta che perda il contatto con la sua navicella - il fascicolo si perde nell’iperspazio.
Sarebbe ingeneroso attribuire tutta al tribunale fallimentare di Milano la responsabilità degli incredibili trentotto anni passati da quel giorno. A tirare in lungo la faccenda contribuiscono fattori disparati: gli americani che tardano a pagare i danni di guerra, la difficoltà nell’individuare i creditori, il caos creato dalle leggi che nel frattempo, inevitabilmente, cambiano. Ma resta incomprensibile la rilassatezza con cui i giudici milanesi permettono che gli anni, i lustri e i decenni scorrano senza che nulla accada, passandosi l’uno con l’altro il fascicolo al momento di cambiare sezione. Un curatore viene cacciato. Ne viene nominato un altro. Neanche questo muove un dito. Ci vogliono quindici anni perché il tribunale se ne accorga e cambi un’altra volta curatore. Muore Dario Pater, muoiono i creditori, altri emigrano, i loro eredi si sparpagliano per il mondo. Le carte del fallimento iniziano - non metaforicamente - a decomporsi.
Adesso che (forse) si vede finalmente la fine del tunnel, le carte, o quel che ne resta, sono sul tavolo di un giovane giudice, Pierluigi Perrotti, e di un nuovo curatore, Piero Alberto Dall’Oglio (nuovo relativamente parlando, visto che è lì da quasi dieci anni a cercare di raccapezzarsi). Sono loro gli unici oggi a poter spiegare il mistero del fallimento più lungo del mondo. «Mi rendo conto che possa sembrare una durata fuori dal normale e oggettivamente la è», spiega Dall’Oglio. «Certo, ci sono stati degli inciampi. Ricordo che a un certo punto c’era da vendere un appartamento che valeva centomila euro, però la transazione venne trascritta male al catasto, a quel punto la pratica si ingarbugliò in modo tale che il curatore si arrese e praticamente non fece più nulla».
Una trascrizione sbagliata, un curatore che va in esaurimento nervoso. Basta questo a spiegare lo scandalo di un processo che dura trentotto anni? Certo, a valle è facile immaginare umane debolezze, cancellieri e giudici che davanti a un fascicolo incartapecorito preferiscono occuparsi di cose più fresche, di creditori e debitori ancora vivi. Ma lo stupore rimane.

E poi non è detto che siamo arrivati davvero alla parola fine. «Ecco - dice sconsolato il curatore Dall’Oglio - non vorrei che se adesso questa storia finisce sui giornali, da chissà dove salta fuori un altro creditore con altre pretese. E a me tocca ricominciare da capo».

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