Silvia Castello
Time Magazine nella cronaca mondana newyorkese dei primi anni Trenta lo definì Master of Swish - «il maestro dalla pennellata a sferzata della high-society champagne-supper», ma già a Parigi in piena Belle Époque, il poeta dandy Jean Lorrain descrive Giovanni Boldini come «chic e sofisticato». A Venezia è sempre a Palazzo Venier dei Leoni ospite della marchesa Luisa Casati, emblema inquietante della Finis Austriae mitteleuropea che ispirò la superba Panther a Cartier divenendo gioiello simbolo della maison. Salomè del ventesimo secolo: alta, vagamente androgina e con grandi occhi verdi, lereditiera di origine austriaca fu il massimo della trasgressività dellepoca. Sbalordì anche DAnnunzio e dedicò se stessa a «divenire unopera darte vivente»: attorno a sé ebbe i maggiori artisti europei degli anni Venti e Trenta come «The little italian genius», di cui sarà mecenate, amante e musa febbrile. Luisa Amman Casati trasformerà così Palais Rose sulla Senna a sua immagine e somiglianza, collezionando nella galleria-pavillon numerosi ritratti, tra cui anche quelli che eseguì per lei il genio ferrarese Giovanni Boldini (1842-1931), ora presentati a Roma in occasione della retrospettiva alla Galleria Nazionale dArte Moderna (fino al 25 settembre). Sono 110 opere tra i capolavori più significativi provenienti dai maggiori musei del mondo e da prestigiose collezioni private. Che ripercorrono la carriera del pittore-ritrattista nelle sue diverse fasi, dalla giovinezza legata al periodo macchiaiolo a Firenze, alla maturità trascorsa interamente a Parigi dal 1871 e scandita da frequenti viaggi a Venezia, Londra e in America. Lexcursus parigino vede lesordio in originali piccoli dipinti evocanti la «grazia perduta del Settecento», condizionati dalle esigenze estetiche dei collezionisti francesi e americani.
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