Nella seduta del 15 luglio scorso il consiglio dei ministri ha esaminato ed approvato in via preliminare lo schema di disegno di legge «Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali, razionalizzazione delle Province e degli Uffici territoriali del Governo. Riordino di enti ed organismi decentrati», meglio conosciuta come Riforma Calderoli.
La lunghezza della rubrica rivela l'ambizione della riforma, chiamata a dare attuazione al federalismo fiscale e, al tempo stesso, apportare le modifiche necessarie a dare nuovo impulso al sistema delle autonomie locali.
Il Governo conferma, così, la notevole volontà riformatrice, evidenziata dall'inizio della legislatura, che interessa molteplici settori (oltre a quelli oggetto del suddetto disegno di legge: giustizia, scuola, pubblico impiego, politiche di sviluppo industriale e dell'approvvigionamento energetico).
L'esecutivo viene così incontro alle istanze provenienti dal mondo delle Autonomie locali. È di pochi giorni fa (10 luglio) un importante ordine del giorno dell'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci) che definisce «strategico per il futuro dell'Italia il rinnovamento del sistema istituzionale al fine di adeguarlo alle esigenze di una società in continuo mutamento, ai bisogni nuovi e crescenti dei cittadini e delle comunità».
Il disegno di legge Calderoli va proprio in questa direzione proponendosi, in sintesi, di ridefinire e razionalizzare il riparto delle competenze degli enti locali, di sopprimere alcuni enti considerati inutili, di potenziare il sistema dei controlli e di favorire la gestione associata delle funzioni amministrative.
Tra Governo ed Anci non v'è, ovviamente, totale identità di vedute. L'Associazione dei Comuni se, da un lato, valuta positivamente l'obiettivo di «costringere» i Comuni sino a 3.000 abitanti ad esercitare in forma associata le funzioni fondamentali ed apprezza la ridefinizione delle funzioni di competenza dei Comuni e delle Città Metropolitane, dall'altro lato non condivide il progetto di riduzione del numero dei componenti dei consigli comunali e delle giunte che, invece, il Governo promuove nella più generale prospettiva di riduzione del numero dei componenti degli organi rappresentativi (ivi compresi i parlamentari, già oggetto di un disegno di legge di revisione costituzionale che, pur approvato dal precedente Governo Berlusconi, non aveva poi superato l'esame dei cittadini ai quali era stato sottoposto il referendum popolare previsto dall'art. 138 Cost.).
È su questi temi che si apre adesso il confronto tra lo Stato e le autonomie locali nell'ambito della Conferenza Unificata, alla quale il consiglio dei ministri ha rimesso il disegno di legge.
Si tratta di un passaggio decisivo per il futuro assetto del nostro Paese, il quale attende ormai da venti anni (ossia dall'epoca dell'approvazione della legge 142/90) l'effettiva attuazione di una serie di importanti riforme (Aree Metropolitane; Città Metropolitane; forme associative tra Enti locali; esercizio associato di funzioni) che, pur previste sulla carta, non sono mai decollate. Non è più possibile, infatti, rinviare ulteriormente queste riforme se si vuole rendere più moderno ed efficiente il nostro quadro istituzionale così da avvicinarlo alle reali esigenze dei cittadini.
Il fatto che sia il Governo che l'Anci, ciascuno nel suo ambito e pur con alcune differenze, lo abbiano riconosciuto, è un segnale positivo di grande importanza che dimostrano come tutte le istituzioni siano responsabilmente consapevoli delle sfide che attendono loro e l'intero Paese.
*avvocato amministrativista
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