Caro direttore, il vostro articolo che denunciava la «cricca di Vendola», è solo uno dei tanti «incroci pericolosi» che vedono protagonista il governatore pugliese. A me è capitato diverse volte, mio malgrado, di finire al centro di questo incrocio. Due vicende esemplari aiuteranno a capire meglio.
La prima. Per il mio giornale, il Corriere della Sera , scrivo che la giunta Vendola incarica un consorzio guidato dal gruppo Marcegaglia di realizzare in Puglia alcune discariche, tra le quali una a ridosso di un sito neolitico. Non vengo querelato, né smentito. Ma quando sul litorale di Brindisi viene trovata una finta bomba con un messaggio di protesta per un depuratore non realizzato, Vendola coglie al balzo l’occasione e a reti (Rai) unificate pronuncia una «fatwa » gravissima: dice in sostanza che il mandante morale di quella bomba sono io. Lo querelo. Ma passano due anni e mezzo e non succede nulla. Presento un esposto alla procura generale di Bari, chiedendo che, come vuole la legge, il caso venga avocato dal procuratore generale a causa dell’inerzia nell’esercizio dell’azione penale da parte del pm a cui era stato assegnato.
Improvvisamente, quel pm si fa vivo, tira fuori dal cassetto la querela e dice che deve astenersi perché lei (è una signora) è molto amica di Vendola. Il pm è Romana Pirrelli in Carofiglio (pm anch’egli e senatore Pd). La vicenda finisce dunque sulla scrivania del procuratore capo, Emilio Marzano (ora in pensione, di area Ds), il quale chiede l’archiviazione (ma va?) con una motivazione a dir poco fantastica: «È vero che Vendola ha gravemente diffamato Vulpio dice il procuratore - ma Vulpio lo ha provocato». Sì, hai capito bene, pur non avendo ricevuto querele e smentite, il mio diritto di cronaca e di critica garantito dalla Costituzione è diventato «provocazione». La seconda vicenda si svolge nel pieno dell’inchiesta sui disastri della Sanità pugliese. A Vendola non erano piaciute le cose che avevo scritto sull’argomento.Ma poiché erano cose vere non ha potuto querelarmi, né smentirmi. E allora, interrogato dal pm Desireé Digeronimo, mi tira in ballo senza ragione e con un livore senza eguali, e nonostante sappia bene che sono incensurato, mi definisce «noto diffamatore professionale». L’atto giudiziario viene pubblicato da quasi tutti i giornali e finisce su tutti i siti web. Questa volta, oltre a querelarlo, poiché pure lui è un giornalista, lo deferisco anche all’Ordine dei giornalisti della Puglia.
Sì, lo stesso di cui parlate nel vostro articolo, proprio quello presieduto dalla moglie del capo di gabinetto di Vendola.L’Ordine,esaminati gli atti, archivia. Avrebbe fatto lo stesso a parti invertite, se fossi stato io a definire Vendola «noto diffamatore professionale »? Ah, saperlo... In ogni caso, c’è sempre la querela. Di cui si occupa il procuratore aggiunto di Bari, Annamaria Tosto. La quale chiede l’archiviazione con un’altra,meravigliosa motivazione: sostiene, la pm, che le parole di Vendola non possono considerarsi diffamatorie, poiché il sottoscritto ha subito molti procedimenti per diffamazione (che poi non sia mai stato condannato, è per la pm un dettaglio), dando così a Vendola «licenza di uccidere» con tutte le parole che vuole. Adesso, attendo la pronuncia della Camera di consiglio sulla mia opposizione all’archiviazione.
Intanto, tacciono tutti. Dai «paladini » della libertà di stampa e di espressione alle ronde anti-bavaglio, dall’Ordine dei giornalisti nazionale alla Federazione nazionale della stampa, il cui presidente, Roberto Natali, ha recentemente fatto passerella accanto a Vendola, elogiando i giornalisti che ne elogiano le gesta: l’ Istituto Luce , al confronto, è il New York Times .
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