Ecco dove i romanzieri pescarono le storie di mare

Scriveva Plutarco, attribuendo la frase a Pompeo: «Navigare è necessario, mentre non lo è vivere». Oggi, che attraversare il mare è per lo più (pirati somali permettendo) sinonimo di crociera, la frase forse suona eccessiva. Però per secoli salpare l’ancora è stato, sempre o quasi, sinonimo di rischio. Quando l’ultima cima veniva staccata dalla banchina e la chiglia iniziava a increspare le onde, sospinta dalla forza dei remi o del vento, immediatamente tutto diventava sfida mortale, epica non scritta.
Per rendersene conto niente di meglio di un testo bellissimo e dimenticato come Storie di Naufragi di Louis Deperthes, le cui pagine più avventurose sono appena state ripubblicate a cura di Laura Mazzolini (Odoya, pagg. 270, euro 18). Deperthes è stato un avvocato di Reims vissuto a fine Settecento, amico di Rousseau e affascinato dalle sue idee illuministe. Il colto giurisperito aveva però anche un’altra passione: la sua principale voluttà era ascoltare e raccogliere racconti di marineria. Ascoltava e scriveva, cercava diari di bordo e resoconti. Tanto che alla fine, nel 1789, si trovò per le mani tre volumi di relazioni su «svernamenti, naufragi, incendi e altri eventi funesti avvenuti sugli oceani». Tutti vergati e rielaborati con una perizia a metà tra la curiosità scientifica e la sensibilità preromantica.
Abbastanza per fare della loro raccolta, intitolata appunto Histoire des Naufrages, uno dei libri più letti dell’Ottocento, insomma un classico di genere. Anche perché tra i documenti compulsati dall’illuminista di Reims ci sono le testimonianze del naufragio di Alexander Selkirk (pirata scozzese rimasto per anni abbandonato su un’isola) che ispirò anche il celebre romanzo Robinson Crusoe di Daniel Defoe (1660-1731). Ma non solo, tutte le avventure - vere e presunte - avvenute tra i flutti tra il Cinquecento e il Settecento fanno capolino in queste pagine: c’è il francese Jean de Lery che per fuggire alle persecuzioni religiose affrontò un tremendo viaggio tra il Brasile e la Francia su un vascello fatiscente (e in cui i marinai sopravvissero nutrendosi di zuppa di topi), ci sono le avventure dell’esploratore Barents che, lottando con gli orsi polari e gli iceberg, cercò il passaggio a nord-est, c’è la morte del pirata Black avvenuta nel 1717 nei pressi di Wellfleet...
E poco importa che realtà e fantasia in questi racconti si mischino. Quel che conta è che parlano di uomini, di coraggio e di senso del limite. In ogni storia è sotteso quel vecchio proverbio marinaresco che dice: «C’è sempre più vento che vela, c’è sempre più onda che murata...».
Tra l’altro la curatrice Laura Mazzolini non ha solo il merito di aver reso queste storie fruibili al grande pubblico (in Italia c’è stata una sola edizione, quella del 1968 della piccolissima casa editrice Martello) ma ha anche proseguito l’opera di Deperthes. Nella terza parte del libro ha raccolto una serie di testimonianze di naufragi avvenute dopo il 1789 tra le quali la vera storia della baleniera Essex affondata da un capodoglio nel novembre 1820 e l’immancabile Titanic (c’è anche una scheda con i naufragi più famosi e un’apparato di note utile a chi confonde la coffa con la chiglia). E se, certo, quest’ultime vicende sono le più note il «maestro» settecentesco avrebbe apprezzato lo sforzo di completezza (del resto era enciclopedico come tutti i seguaci dei lumi).
Allora il lettore sciolga le vele e decida quale sfida tra uomo e mare lo affascina di più, concedendosi anche quel gusto del macabro che ogni curioso di naufragi deve avere (ben lo capiscono i fan del telefilm come Lost o di film come La tempesta perfetta o Cast Away). Sì perché ogni sfida alla morte sul mare ha il suo particolare fan. Lo scrivente ad esempio: per quanto le vicende del vascello inglese See Venture, incagliato alle Bermude (nel 1609) dopo giorni e giorni di tempesta, siano affascinanti sente a pelle che la sfida ultima è quella di Barents circondato dai ghiacci che spezzano il timone della sua nave.


Sembra di vedere, mutatis mutandis, con secoli d’anticipo lo stesso disastro che colpì il dirigibile Italia (proprio nelle stesse acque). E infondo anche quello si sarebbe potuto includere nel libro col commosso consenso di Deperthes. Sempre naufragio fu, anche se dell’aria.

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