Inutile lambiccarsi sul «che fare» in tema di tasse e spesa pubblica. Le regole ci sono già. Ce le fornisce, da tempo, l’Unione europea. La gelata di Almunia sulle nostre previsioni di crescita non cambia il «che fare», anzi lo rende, se possibile, ancora più obbligato: tagliare la spesa e ridurre la pressione fiscale per avere più sviluppo. Con una decisione dell’Ecofin del 22 febbraio 2000 sono stati messi a punto quattro criteri-guida per le decisioni politiche dei singoli governi.
La prima regola. Se l’equilibrio di bilancio non è ancora stato raggiunto in termini strutturali, la riduzione delle imposte dovrebbe essere accompagnata da tagli compensativi nella spesa, che non solo siano in grado di bilanciare la caduta di gettito (prodotta dal taglio delle tasse), ma che allo stesso tempo garantiscano gli obiettivi a medio termine previsti dal patto di stabilità su deficit e debito.
La seconda regola. Le riduzioni d’imposta non devono essere pro-cicliche. In fase di ciclo positivo, infatti, un alleggerimento fiscale, a parità di spesa, produce un effetto espansivo sulla domanda, che può condurre ad un surriscaldamento inflazionistico. È importante combinare riduzioni delle imposte a tagli di spesa nelle fasi espansive del ciclo. In altre parole, se si ammettono «deficit di crescita» quando il ciclo va male, così bisogna continuare ad essere rigorosi quando le cose vanno bene.
La terza regola. I Paesi con alti livelli di debito pubblico devono fissare e mantenere obiettivi di bilancio ambiziosi. Prima di tagliare le tasse questi Paesi devono dare concreti segnali di convergenza del debito a medio termine.
Quarta regola. Le riduzioni fiscali dovrebbero far parte di pacchetti di riforme più ampi. Poiché, ad esempio, le interazioni tra i sistemi fiscali e di welfare condizionano fortemente il buon funzionamento del mercato del lavoro, i tagli delle tasse dovrebbero essere realizzati in stretta relazione e in sincronia con altre riforme strutturali rilevanti in questo specifico mercato (scuola, formazione, ammortizzatori sociali). Solo così le riduzioni fiscali si trasformerebbero in maggiore produzione e occupazione.
Facciamo, dunque, due conti e un semplice esercizio sul retro di una busta. Nella contabilità della nostra finanza pubblica possiamo vedere come, grosso modo, la spesa corrente per l’anno 2007 ammonti a circa 700 miliardi di euro, con incrementi annui medi variabili di circa 20 miliardi di euro. Parimenti le entrate correnti, vale a dire il totale del gettito (entrate tributarie ed extra-tributarie) appaiono dello stesso ammontare, attorno ai 700 miliardi di euro.
Considerando tutto questo, una semplice strategia virtuosa ed europea di finanza pubblica potrebbe partire da una altrettanto semplice equivalenza: tagliare di mezzo punto di Pil all’anno la spesa corrente (circa 7 miliardi di euro), e con questo ammontare di risorse finanziare la riduzione della pressione fiscale che, viste le basi uguali, comporta una riduzione della pressione fiscale di pari ammontare e cioè mezzo punto di Pil. Tutto questo avrà come effetto il controllo della dinamica della spesa corrente e la riduzione tendenziale della pressione fiscale, a parità di altre dinamiche.
Ne deriva, anche, che la riduzione della pressione fiscale, incidendo sulla fiscalità tanto delle famiglie quanto delle imprese, porta degli effetti positivi in termini di aspettative, di consumi e di investimenti, il che potrebbe produrre un aumento di gettito conseguente, proprio, alla minor pressione fiscale e al conseguente maggior reddito disponibile. Partendo da questa semplice operazione di chiara visibilità, il prossimo governo dovrebbe impegnarsi a destinare tutto l’extragettito che si dovesse formare unicamente alla riduzione del deficit e del debito. Un circuito virtuoso fatto di taglio e tenuta sotto controllo delle dinamiche della spesa corrente, riduzione della pressione fiscale e riduzione del deficit e del debito. Un circuito virtuoso che non può che migliorare le aspettative interne e internazionali, con in più la riduzione del costo del nostro servizio del debito (gli interessi che paghiamo sulla montagna del nostro debito).
Se questo tipo di terapia venisse mantenuta con rigore anno dopo anno per tutti i 5 anni della prossima legislatura, con una crescita del Pil anche non esaltante, avremmo una spesa corrente sotto controllo (pur in aumento), avremmo una pressione fiscale in netta riduzione, avremmo un rapporto deficit/Pil probabilmente azzerato (già nel 2009-2010) e un rapporto debito/Pil sotto la soglia del 100% (sempre nel 2009-2010), con aumento del reddito disponibile (e, quindi, dei consumi) e aumento degli investimenti. Se a questo aggiungiamo operazioni sul lato patrimoniale, vale a dire l’avvio massiccio di valorizzazioni e dismissioni del patrimonio pubblico centrale e periferico, metteremmo finalmente l’economia e la finanza pubblica del nostro Paese sul giusto sentiero.
A tutto ciò, poi, si aggiunga la lotta, non estemporanea e spettacolare (alla Visco per intenderci) all’evasione fiscale, soprattutto attraverso la compartecipazione dei Comuni all’accertamento e alla riscossione, per un fisiologico e non ossessivo incremento del gettito. In definitiva, un circuito virtuoso in cui lo Stato spenderà meno e spenderà meglio, i cittadini saranno tassati meno e aumenterà il loro reddito disponibile, aumenteranno i consumi, diminuirà il capitale morto e aumenterà il capitale vivo e per questa via tutto il sistema avrà modo di espandersi anche dal punto di vista dell’efficienza e della trasparenza.
Questa la ricetta: facile a dirsi, difficile a realizzarsi, soprattutto con i chiari di luna che ci aspettano. Che ne dicono i due schieramenti in campo? Il centrodestra ci ha già provato con buoni risultati. Prodi ha fatto tutto il contrario. A chi credere adesso?
*Europarlamentare di Forza Italia
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