Ecco i reattori del futuro più sicuri e sostenibili

Dal 2013 l’Italia si affiderà alle strutture di terza generazione: maggiore rendimento ed economicità

da Milano

L’Italia che riapre le porte al nucleare si affida ai reattori di terza generazione. «Un modello che è già avanguardia - ne è convinto il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola -; sarebbe un errore attendere le centrali di quarta generazione, d’altronde la questione energetica è un’emergenza che non consente ulteriori tentennamenti. Sarebbe come nascondere la testa sotto la sabbia». Si calcola, infatti, che nel 2020 il nostro Paese accentuerà la dipendenza dai combustibili fossili provenienti dall’estero fino al 94 per cento. Un record triste che finirà per gravare sulle bollette di famiglie e imprese: spese a cui, molto probabilmente, soltanto una minoranza potrà far fronte. I progetti in fase di studio si riferiscono ad impianti che sfruttano caratteristiche di base e modalità di funzionamento della tecnologia di seconda generazione, migliorandone il disegno. Il combustibile nucleare utilizzato è l’ossido di uranio arricchito al 4-6 per cento, oppure miscele di uranio e plutonio, sottoforma di piccole pasticche contenute in barrette rivestite in leghe di zirconio. Sono impiegate, inoltre, barre in argento, cadmio e indio per tenere sotto controllo la velocità della reazione a catena e spegnere il motore. Quanto ai parametri di sicurezza, gli esperti spiegano che per questo tipo di reattori lo standard è di «dieci all’ottava anni su un reattore senza incidenti con danneggiamento grave del nocciolo». Tradotto con un esempio, un reattore costruito all’epoca della scomparsa dei dinosauri avrebbe meno di una probabilità su due di essere soggetto a un guasto tale da causare un disastro ambientale. Nell’eventualità di un malfunzionamento, il sistema non prevede l’intervento umano. Un vantaggio che si accompagna, però, in un notevole incremento nei costi di costruzione: il prototipo in fase di realizzazione in Finlandia sta costando 3 miliardi e 200 milioni di euro. In compenso, l’investimento è ripagato dalla capacità di bruciare maggiore quantità di combustibile, producendo meno scorie, tuttavia del tutto assimilabili ai reattori di generazioni precedenti per durata e tossicità. Il primo modello portato a termine nel mondo si trova in Giappone e risale al 1996.
La quasi totalità delle centrali attive (più di 300, 45 ai nostri confini) è di seconda generazione. Lo sviluppo nucleare voluto dal governo Berlusconi si articola in due ambiti. Il primo, relativamente di breve periodo per fronteggiare la crisi da caro-petrolio, punta a joint venture con altri Paesi per costruire all’estero centrali con finanziamenti italiani. Su quali siano le nazioni disposte a ospitare reattori in cambio di investimenti da parte dello Stato e/o dei privati, al momento circolano soltanto ipotesi. Di certo, si guarda al di là dell’Adriatico: l’Albania del premier Sali Berisha ha alzato la mano. E oggi pare in pole position per aggiudicarsi l’atomo «made in Italy», ma secondo le stime ci vorrebbero dieci anni per far partire i cantieri.
Più vicino è il 2013, cioè la fine della legislatura. Anno entro cui dovrebbero sorgere le prime pietre di centrali nucleari su territorio italiano.

Così, 26 anni dopo il referendum che bandì l’energia atomica dalla Penisola - e che secondo un documento firmato dalla Società italiana di Fisica c’è finora costato 60 miliardi di euro -, l’Italia tornerebbe a produrre energia atomica fino al 25 per cento del fabbisogno, secondo i piani del ministero, nella stessa quantità delle fonti rinnovabili. I comuni ritenuti idonei - la presenza di acqua è decisiva - saranno premiati con sconti in bolletta e fondi agli enti locali.

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