RomaItalia chiamò. All’ora dei patrioti il pallido Franceschini fa ingresso alla buvette riaperta per l’occasione. Sono le 9.18 e un commesso bronzeo teme per Ferragosto. «Sono tornato apposta da Parigi, è una riunione importante, ha un alto valore per i mercati», vanta il capo dei deputati del Pd. «Io so’ partito alle 5.10 dal Circeo, alle 6.10 stavo a Lungotevere... che me frega se richiamano, io torno. Ma Ferragosto no», vanta il barman. Assieme a lui, precettati una cinquantina di addetti tra i due bar e i due ristoranti, più una ventina di commessi uscieri.
Piazza di Montecitorio è ancora deserta, dominata dal servizio d’ordine raddoppiato all’ultimo momento: sei autoblindo della celere, due dei carabinieri, cinque tra pantere e jeep, quattro auto in borghese. Cinquanta metri più in giù, al bar Giolitti, un tavolino attende la colazione di Bossi e i superfedeli Rosy Mauro, Reguzzoni e Cota. Il piddino Francesco Boccia, intanto, raggiunge trafelato i colleghi in riunione all’aula Berlinguer del gruppo. Ha disdetto un viaggio negli States con Nunzia Di Girolamo, pur di esserci: così hanno scritto i giornali. Ne valeva la pena? «Era disdetto da tempo, sine die», smentisce. Guai in vista? «No, se facciamo provvedimenti seri», svicola.
Siam pronti alla morte. Ma è nell’aula Mappamondo al secondo piano che i duri e puri han già preso posto. Il sottosegretario Bruno Cesario ha lasciato moglie e figli a Seiano, costiera Sorrentina. «E che dovevo fare, so’ responsabile... La gente è preoccupata, ti chiede, noi dobbiamo dare risposte». Mario Baccini, abbronzatissimo, ne ha. «Ho lasciato il gommone e la famiglia a Poltu Quatu, un posto tranquillissimo, lo dice il nome». Rinuncerà a qualche battuta di pesca. «Ma io pesco anime, la mia estate la passo vedendo gente, facendo cose...».
Alle 10.25 comincia il defilé. Arrivano a gruppi, a grappoli, a singhiozzo. Senza cravatta e senza calze nei mocassini o nelle scarpe da ginnastica. Visi d’occasione, per lo più estivi. Ma se Enrico Letta veste come d’inverno, Marianna Madia trionfa con il pancione all’ottavo mese e Francesco Barbato (Idv) si guadagna la palma del look trasgressivo: barba e capelli lunghi, scarpe da ginnastica bianche su pantaloni bianchi, maglia da rugby sotto giacchina fashion blu. «Dovresti fare la pubblicità - sfotte Sergio D’Antoni -: “Così m’ha ridotto Tremonti”». Peccato che il suo intervento con due proposte per la manovra debba saltare. Non è l’unico, e in tanti lamentano la passerella tivù senza audio. Lo scettro «scarpina di Cenerentola» di diritto a Stracquadanio, che sfoggia Superga celestino-orzobimbo. «Che ci posso fare? In vacanza porto solo queste». Alle 10.59 spunta Tremonti in completo nero su viso biancolatte. Entrano pure i cameramen (non era tutto lì?) e il presidente della riunione congiunta, Donato Bruno, capisce dimostrandosi perfetto gentlemen: «Ragazzi, riprendete tutti: è una riunione importante, lo sforzo di chi è venuto va ricompensato» (l’aplomb si scioglierà più tardi sui divanetti in un sospiro: «Che pagliacciata inutile»).
Arriva Bossi in occhiale da iena e vorrebbe sedersi accanto alle iene dattilografe. Lo dirottano in aula. Uscirà subito dopo l’intervento di Tremonti per lanciare le sue frecce: «Ma chi l’ha scritta, la lettera alla Bce?» (il sottinteso, spiegato poi: «È stato Draghi, a Roma, temo complotti»). E quindi: «Discorso fumoso». Affermazione che, oltre a far inviperire il ministro, manderà a nozze Di Pietro e in brodo di giuggiole Renzo Lusetti: «Grandissimo, Bossi! Veniamo qui, duecento sfigati, e lui in un attimo sputtana tutto...». Intanto Moffa cita Carl Schmidt, Casini ammette che «da questa porta stretta e bassa (la crisi, ndr) dobbiamo passarci tutti», Rutelli evoca la «sindrome Salamandra» e Di Pietro si sfoga con repertorio imperdibile: quattro volte la parola «cog...», «tra aria fritta e discorso fumoso arrosticino è», «ma che c’è andato a letto con la Bce?», «ma succhè collaboriamo?».
L’elmo di Scili(poti). L’ora dei patrioti coincide con quella dei responsabili. Domenico Scilipoti è tra i più lesti a guadagnare l’ascensore, più entusiasta di Tremonti. «Sono tornato apposta da Messina e mi lasci dire una cosa: se siamo qui e l’Italia non ha fatto la fine della Grecia è merito di chi il 14 dicembre ha capito che non si trattava di salvare una persona, ma un Paese». La delusione per la riunione costata alle casse dello Stato circa 75mila euro (soprattutto in viaggi) è palpabile. Si parla apertamente di «inutile sfilata, perdita di tempo, teatrino per la tivù».
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