Nel 1998, quando la Giovanni Agnelli & C. Sapaz, la cassaforte della famiglia, lanciò un’Opa da 2.600 miliardi di lire sulla lussemburghese Exor group, che già controllava insieme all’Ifi, l’operazione fu motivata come una tappa del progressivo accorciamento della catena di controllo nel gruppo Agnelli-Fiat. Nessuno sospettava allora - se non gli interessati - che la finalità potesse essere un’altra, segreta: quella di «liberare» risorse liquide a favore di Gianni Agnelli. Quell’operazione è oggi oggetto di ricostruzioni e di analisi complesse da parte della magistratura e del fisco: perché è stata additata dai legali di Margherita Agnelli, unica erede diretta dell’Avvocato, come lo snodo grazie al quale il padre costituì il suo tesoro segreto. Segreto anche a lei, che oggi nel chiederne conto afferma di essere mossa non dall’intento di attirarlo nell’asse ereditario, ma dal desiderio, semplicemente, di «sapere». Non cupidigia, ma ansia di chiarezza. Il suo valore? Stando alle carte depositate in tribunale, tra 1 e 2,5 miliardi di euro; verosimilmente, 1,46 miliardi.
Al di là della quantificazione, che negli anni successivi al 1998 può aver avuto ancora significative variazioni, un quesito che tutti si pongono è sul «come»: come si fa a far sparire tanto denaro agli occhi di tutti, anche dei familiari e del fisco? Come si fa a eludere qualunque controllo e a far passare un tesoro alla più completa clandestinità?
Nessun colpo di bacchetta magica: qui si tratta di architetture finanziarie che, come ogni grande opera, hanno bisogno di svilupparsi nel tempo e di seguire un raffinato cammino strategico. La ricostruzione dei legali di Margherita è, ovviamente, molto complicata. Proveremo a semplificarla al massimo per cercare di rendere evidente il suo meccanismo.
Lo strumento è proprio Exor group, finanziaria estera degli Agnelli di diritto lussemburghese. Nasce nel 1966, con altro nome, come una controllata dell’Ifi (allora cassaforte degli Agnelli) e assume questa denominazione dopo la fusione con la francese Exor, conquistata con un’Opa a Parigi nel 1991 (qualcuno ricorderà che la «vecchia» Exor era proprietaria dell’acqua minerale Perrier che poi gli Agnelli accettarono di lasciare alla Nestlé; a loro interessavano ben altre, ricchissime partecipazioni e le sterminate proprietà immobiliari nel centro di Parigi). Exor Group, che all’inizio era posseduta al 100% dall’Ifi, nel 1998 appartiene alla finanziaria e alla Giovanni Agnelli Sapaz per il 19,74% soltanto: e le altre quote dove sono finite? Vicino a soci storici come la famiglia greca Mentzelopulos, nel tempo appaiono una serie di fiduciarie, società che - come indica il loro stesso nome - agiscono in nome e per conto di qualcuno che non vuol apparire. Ma nessuno si pone il problema, e nessuno, nonostante la progressiva erosione della quota Ifi-Sapaz, si sogna di mettere in dubbio il reale controllo della società: non è strano?
Il perché è semplice. Secondo la ricostruzione dei legali di Margherita, quelle fiduciarie nascondevano in realtà lo stesso Gianni Agnelli, acquirente, negli anni, di quote da parenti. Exor nel 1998 è ricchissima e si procura grande liquidità grazie alla cessione di partecipazioni, che le permettono di promettere ai soci la distribuzione di un dividendo straordinario per l’equivalente di 1,5 miliardi di euro. La Giovanni Agnelli Sapaz lancia un’Opa da 2.600 miliardi di lire attraverso un veicolo ad hoc, poi assorbito, e si finanzia proprio con il futuro dividendo; la Sapaz, alla fine, possiede l’84% di Exor e le fiduciarie vengono liquidate.
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