Ecco la manovra per salvare lo stipendio d’oro del ministro

Nel maxiemendamento alla Finanziaria un comma preserva dai tagli Padoa-Schioppa e i suoi sottosegretari Tononi e Sartor

Gian Maria De Francesco

da Roma

Il maxiemendamento alla Finanziaria ha salvato i superstipendi dei ministri e dei sottosegretari tecnici. Il titolare del Tesoro, Tommaso Padoa-Schioppa, e i suoi collaboratori, Massimo Tononi e Nicola Sartor (incaricato di seguire la Finanziaria in Parlamento) non vedranno i propri emolumenti decurtati l’anno prossimo. Anche le retribuzioni dei manager di Stato sono state in qualche modo messe al riparo. Formalmente l’impeto moralizzatore del governo di centrosinistra ha delineato una norma che fissa un tetto alle retribuzioni. Nella sostanza, sono sempre possibili eccezioni. Nello stesso comma del maxiemendamento, poi, ha trovato spazio un provvedimento che consente al governo di far partire lo spoil system su Sviluppo Italia e sulle sue controllate immediatamente dopo l’approvazione della legge di bilancio. Nel frattempo, la lottizzazione non si è fermata. A pochi giorni dalla scadenza del termine per la rimozione dei dirigenti pubblici in base alla legge Frattini, il presidente dell’Aran, Raffaele Perna, è stato revocato dal proprio incarico.
Padoa-Schioppa «salvo». «Il trattamento economico complessivo dei ministri e dei sottosegretari di Stato membri del Parlamento nazionale è ridotto del 30% a decorrere dal primo gennaio 2007». Il testo del maxiemendamento della Finanziaria ha confermato il taglio del 30% alle retribuzioni degli esponenti parlamentari dell’esecutivo. Un po’ per fare del francescanesimo a costo quasi zero, ma soprattutto per scoraggiare i membri dell’esecutivo che non vogliono abbandonare lo scranno mettendo a rischio la maggioranza, il governo ha riproposto la misura. Uno dei risultati è la conferma degli emolumenti del ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, e dei suoi sottosegretari Sartor e Tononi.
Stipendi sicuri. Un comma del maxiemendamento ha fissato un tetto di 500mila euro all’anno per le retribuzioni dei nuovi manager di società partecipate dallo Stato. Tale formulazione sembrerebbe accontentare l’ala moralizzatrice della maggioranza, Italia dei valori in primis. Ma c’è un escamotage che consente di non incorrere negli strali dell’Udeur, propensa a un innalzamento di tale soglia. L’importo sarà «rivalutato annualmente» in relazione al tasso di inflazione programmato e, soprattutto, sono previste deroghe «per comprovate necessità da parte del ministro competente di concerto con il Tesoro». Insomma, è sufficiente la volontà di un ministro per far lievitare gli stipendi. Le società a partecipazione pubblica, però, non potranno devolvere buonuscite «super» ai dirigenti sul piede di partenza. Non sarà possibile, infatti, contribuire a deliberare al momento della cessazione dell’incarico o del rapporto di lavoro clausole contrattuali che prevedano benefici economici «superiori ad una annualità di indennità o stipendio».
Sviluppo Italia. Il maxiemendamento ha confermato anche il limite di tre membri per i consigli di amministrazione di Sviluppo Italia e delle sue controllate. I componenti attuali dei cda dovranno abbandonare il loro incarico quando la manovra entrerà in vigore e i nuovi componenti saranno nominati entro 45 giorni. Si tratta, in pratica, di un valzer di poltrone costosissimo.
Spoil system. Ieri il presidente dell’Aran (l’agenzia governativa che si occupa di contrattazione per i dipendenti pubblici), Raffaele Perna, ha ricevuto comunicazione da parte del presidente del Consiglio della revoca dal suo incarico. Il provvedimento, invocato dai sindacati, era atteso e a nulla sono serviti gli inviti alla moderazione di esponenti del centrosinistra come il presidente della commissione Finanze del Senato, Giorgio Benvenuto (Ds).

«Andrà verificata nelle sedi opportune la legittimità dell’applicazione del meccanismo di spoil system all’Aran, istituzione caratterizzata da un particolare status di autonomia», ha commentato Perna. Sconcertato anche l’ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, che spera in un «ripensamento» da parte del ministro della Funzione pubblica Nicolais.

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