Ecco il nonno indistruttibile scampato alla morte 14 volte

Nonno Alec ride come un bambino, impettito come se fosse ancora in divisa, al comando del generale Alexander, primo corpo d’Armata, Seconda guerra mondiale. Ha ancora la faccia di chi sa di averla combinata grossa, di sicuro sa di averla scampata bella. Questione di un minuto, di un gesto sbagliato, vivo solo perché il destino ha deciso così. «Eh, lo so, sono stato fortunato. Ma se vi consola sono il primo a chiedermi come faccio ad essere ancora vivo». Alec Alder ha 90 anni e le abitudini di sempre, va ancora lui a fare la spesa se c’è bisogno, il pomeriggio lo spezza sempre con un riposino. Vive a Westrip, quattro anime, nel Gloucestershire, ha fatto il commerciante di carbone, il tassista, il soldato. La sua Ada, che lo ha lasciato a febbraio dell’anno scorso, ora è solo nel taglio degli occhi dei due figli, Paul che oggi ha 67 anni, e Maureen, 60, e c’è un girotondo di nipoti intorno al nonno. Anche lui non ci sarebbe più se non fosse stato per lei, è stato quando aveva 21 anni, quasi settant’anni fa, era in lista per il fronte francese, ci teneva a partire con i compagni della sua squadra, ma si era appena sposato, c’era la licenza matrimoniale da consumare, sarebbe partito certo ma due mesi dopo per dove si vedrà. A maggio l'offensiva tedesca sparata verso la Manica, tagliò in due il dispositivo anglo-francese, isolando il corpo di spedizione inglese, 70.000 tra morti, feriti. Era Dunkerque. Nessuno della sua Compagnia tornò più a casa: «E io avrei dovuto essere con loro. Erano tutti miei amici».
Non ha mai chiesto troppo alla vita, ma la vita gli ha sempre voluto bene. Ha capito subito che per lui avrebbe avuto un occhio di riguardo. A otto anni volò giù da quell’albero su cui si era arrampicato, chiunque, da sei metri, si sarebbe spezzato l’osso del collo. Due graffi appena, che nemmeno si vedevano. Si fece il segno della croce, che gli piacesse o no, era solo l’inizio. Per quattordici volte il destino si è divertito a tendergli una trappola, per quattordici volte lo ha tirato fuori dai guai, all’ultimo secondo, a volte con una risata. Nonno Alec così è diventato indistruttibile, praticamente un highlander. «Voi ridete, ma io mica mi rendo ancora conto di essere qui» fa un po’ il vanitoso. Nemmeno una task force di enigmisti riuscirebbe a capire come sia riuscito ad attraversare uragani e attentati, frontali contro camion e bombardamenti aerei, spazzolandosi appena un po’ di polvere dalla spalla. Una roulette russa via l’altra. Prende la bici, gira l’angolo e si ritrova sparato in aria. Dritto frontale con un’auto. Sfortuna? Tutto il contrario. L’uomo che lo mette sotto è un medico, fosse stato un idraulico non l’avrebbe fatta franca. Gioca a pallone, partitina tra soldati, contrasto bello duro e salta via il ginocchio. Sfiga? Tutto il contrario. Il giorno dopo la sua compagnia resta vittima di un attentato. E lui è già in ospedale per i fatti suoi. Non lo ammazza nessuno nemmeno un carrarmato che gli passa sopra durante un’esercitazione: «Fortuna che l’autista stava in piedi sulla torretta, cosa che non capita mai: mi ha visto all’ultimo, ancora un metro e mi avrebbe seppellito». E la gamba? C’era fango, il tank non gli ha nemmeno slogato una caviglia. Parla come Maradona: «È stata la mano di Dio». Anche per questo si è fatto ministro della Chiesa pentecostale.

Va a dormire da un parente, licenza militare, nemmeno sente arrivare quell’aereo che piomba nel giardino, prende fuoco, abbatte il tetto e disintegra metà casa. Nell’altra metà c’è lui che dorme. Sono passati sessantasei anni: «Ma non è finita qui». Già, c’è sempre tempo in fondo per inventarsi un’altra vita.

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