Ecco la peggior previdenza del mondo

Quali sono le «rendite»? Cosa si nasconde dietro il ditino puntato di tanti furbetti che periodicamente appioppano questa definizione ai sudati risparmi degli italiani?
Il gioco è molto semplice e risale all’origine della sinistra mondiale: basta indicare i beni legittimi degli altri come se fossero uno scandalo e un privilegio (non è difficile, ciascuno di noi è «benestante» rispetto a qualcun altro, anche l’operaio lo è rispetto ad un mendicante, per cui il trucco riesce sempre), in questo modo si distoglie abilmente l’attenzione dai propri privilegi e si può persino passare per giustizieri. Peccato però che qualche volta qualcuno si prenda la briga di mostrare le carte e allora, come hanno ottimamente scritto su queste pagine Mario Giordano e Nicola Porro, si scopre il misero altarino di coloro che con più zelo hanno sempre predicato la lotta ai privilegi (degli altri) e la (propria) giustizia sociale. Le pensioni in Italia sono fra le più inique del mondo. Una vera e propria distinzione in caste, dove ci sono da una parte i bramini del privilegio acquisito, della baby pensione, del vitalizio e del sistema retributivo, mentre dall’altra abbiamo i paria: gli attuali giovani lavoratori che, nonostante la loro posizione previdenziale sia calcolata con il sistema contributivo e quindi avrebbero semplicemente diritto alla restituzione di quanto hanno già versato, ogni volta sono utilizzati come bancomat, con ritocchi ai parametri, allungamenti dell’età pensionabile e obbligo di fondi pensione dalla gestione speso traballante. Ai giovani, a cui vengono propinati gli slogan di Bersani e della Bindi contro i supposti «privilegiati», nonché le sbilenche idee della Cgil contro i «ricchi», va forse rammentato che la maggioranza degli iscritti al sindacato è costituita da pensionati e che l’interesse fortissimo di chi dispone di una rendita previdenziale superiore ai propri contributi è quello di trovare sempre nuove pecore da tosare per mantenere il proprio privilegio. Quando in università si spiega il sistema previdenziale (ed è la voce più importante di spesa dello Stato, imprescindibile per ogni progetto di risanamento dei conti) gli studenti sgranano gli occhi come se sentissero una leggenda. Rassegnati prima ancora di entrare nel mondo del lavoro ad una pensione-miraggio, le storie delle baby pensioni agli statali quarantenni, dei vitalizi concessi alle categorie più disparate, degli sposalizi dei moribondi per assicurarsi la reversibilità e delle promozioni di comodo del lavoratore privato negli anni di fine carriera per arricchire l’assegno a spese del pubblico, sembrano cose dell’altro mondo. Invece sono proprio di questo mondo, e soprattutto del mondo di coloro che chiedono agli altri sacrifici e che promettono patrimoniali o di tasse sui risparmi.
Ci permettiamo di suggerire un piccolo, innocuo accorgimento che potrebbe aiutare il dibattito su chi sia davvero privilegiato e chi no. Basterebbe recapitare ad ogni attuale pensionato o titolare di vitalizio (politici e sindacalisti in prima fila) un fogliettino con la cifra a cui avrebbe diritto se fosse come tutti gli altri che in pensione ci devono ancora andare. Non dovrebbe essere difficile: basta ricostruire la storia contributiva di ciascuno ed applicare ai versamenti gli stessi parametri che saranno applicati a chi sta lavorando oggi, con la differenza sottolineata in rosso. Di sicuro costoro, sempre così attenti all’equità, non avranno nulla da dire se gli si ricorda garbatamente un privilegio ricevuto. Tante volte un promemoria vale più di una tassa.

Quando ci sarà la solita proposta di rimettere mano un’altra volta ai coefficienti di rivalutazione per i giovani o di tassare i risparmi vedremo con che coraggio chi dispone di una pensione doppia o tripla (se va bene) rispetto ai contributi versati e che quindi, al contrario degli occupati o dei risparmiatori, sta mungendo soldi a tutti noi ogni mese, potrà ancora chiedere sacrifici.
posta@claudioborghi.com

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