Ecco perché Brunetta vincerà. Se si candida sindaco

Ai suoi detrattori, sprovvisti di argomentazioni serie, non resta che il dileggio. Così chiamano Renato Brunetta «Spanna Montata» e dicono che non potrebbe mai diventare sindaco di Venezia perché con l’acqua alta a 1 metro e 50 annegherebbe.
Invece sono pronto a scommettere che se il ministro dell’Innovazione dovesse candidarsi alla successione di Massimo Cacciari verrebbe eletto e con percentuali altissime se non addirittura bulgare. Essenzialmente per tre ragioni: la prima è che un numero enormemente cresciuto di veneziani ne ha le tasche piene delle giunte di centrosinistra che hanno fatto strame della Serenissima; la seconda è che il Brunetta di oggi non è il Brunetta di dieci anni fa, quando venne sconfitto nella corsa a sindaco da Paolo Costa; la terza è che Venezia è una bella gatta da pelare, meglio, una grossa rogna, e qui non serve un sindaco ma un combattente deciso a tutto e armato di forza e di coraggio. E di forza, coraggio e determinazione il piccolo grande veneziano che ha fatto la guerra ai fannulloni e rivoluzionato la macchina dello Stato ne ha, come è ormai noto a tutti, da vendere.
Le giunte rosso-verdi in un regno incontrastato che dura da decenni hanno fatto la guerra al Mose e trasformato Venezia in un luna park assediato da un’orda inarrestabile di turisti mordi e fuggi. Oggi arrivano in gran parte dai paesi dell’Est grazie a pacchetti vacanza settimanali venduti a prezzi stracciati. Dormono in terraferma, pranzano al sacco, urlano e lordano, ingorgando calli e campielli, e se ne vanno. Fanno la gioia dei gondolieri, dei motoscafisti e dei venditori di vetri cinesi, ormai i soli veri residenti in città perché i veneziani, grazie alla premiata ditta Cacciari and compagni, sono stati costretti a traslocare in terraferma. Brunetta ha promesso che da sindaco lavorerebbe per riportare il centro storico ai fasti del ’500 e chi lo conosce bene non dubita che possa riuscirci. Ma se solo fosse in grado di arginare l’assedio dei barbari e di ripopolare anche una piccola parte della città si vedrebbe tributare dai 60mila superstiti della laguna un monumento equestre. In più Brunetta metterebbe fine alle lobby e alle clientele che da decenni a Venezia ammorbano l’aria, soprattutto in un’amministrazione pubblica cui hanno accesso e dettano le regole troppi amici degli amici. E dove le leve del potere sono nelle mani della solita compagnia di giro: Cacciari, il vicesindaco Vianello nominato direttore del polo tecnologico Vega, Paolo Costa presidente del Porto di Venezia, l’architetto D’Agostino, il direttore dei musei Romanelli, il pur competente Paolo Baratta rientrato come presidente della Biennale, insomma per la serie «a volte ritornano», altro che turnover, ricambio e largo ai giovani.
Da liberale Brunetta è solito premiare il merito, e lo ha dimostrato nelle sue funzioni di ministro ponendo fine alla logica del manuale Cencelli e a quella dei figli e dei figliastri. Appunto, serve una macchina da guerra per mettere fine ai privilegi e alle prebende dei potentati locali e qualora Brunetta dovesse arrivare alla fine dell’impresa, in confronto, la difficilissima battaglia condotta nel cuore dell’apparato statale gli sembrerà una passeggiata. Non a caso chi è per lo status quo, per la conservazione di questa Venezia oligarchica e proterva, sta affilando le armi. Il fuoco di sbarramento contro quello che potrebbe diventare un potente ministro sindaco o sindaco ministro sarà intensissimo. Brunetta è Brunetta, e, poco ma sicuro, rivolterà Venezia come un calzino, senza guardare in faccia nessuno e pestando molti calli. Tutto da solo, senza l’appoggio delle varie caste civili e religiose (il Patriarca di Venezia Angelo Scola, tra il laico filosofo e il laico economista, preferisce sicuramente il primo) ma con il solo sostegno della volontà popolare che dovesse affidargli l’arduo compito di voltare pagina. Il centrosinistra è in preda al panico, questa storia di Brunetta sindaco sarebbe una vera iattura. Alla Regione nove su dieci sarà il ministro leghista Luca Zaia a subentrare a Giancarlo Galan, la Provincia è già in mano alla bionda leghista Francesca Zaccariotto che ha appena fatto cacciare da Maroni il prefetto schieratosi con Cacciari nella vicenda del nuovo campo sinti, figuriamoci se arriva anche il tonitruante e attivissimo figlio di un venditore di «gondoette» di plastica che oggi siede nel Consiglio dei ministri e che una ne fa e cento ne pensa. Da un giorno all’altro puoi ritrovarti con il numero chiuso e il biglietto d’ingresso, oppure subendo decisioni drastiche per la riconversione di due moloch ingessati e in coma come l’Arsenale e Porto Marghera, e chissà cos’altro ancora. Ma chi oppone il centrosinistra, ancora in alto mare con le candidature per le Regionali, a un possibile Brunetta candidato sindaco? Tre politici navigati ma destinati a soccombere se a Venezia dovesse sbarcare con la sua Titti lo Tsunami della Funzione pubblica.
Cosa mai potranno fare contro Brunetta figure anche rispettabili ma sbiadite al suo confronto come Giorgio Orsoni, Laura Fincato e Gianfranco Bettin? Perché mai i veneziani dovrebbero votare per la continuità quando ci sono associazioni come i 40 per Venezia Venessia. Che hanno celebrato in Canal Grande, con tanto di bara e corteo funebre, l’avvenuto decesso della città? L’unica speranza del centrosinistra è che Brunetta cambi idea e, magari in extremis, rinunci a candidarsi.


Non c’è che dire, sai quanti sospiri di sollievo a Venezia, Mestre, Marghera e sulle isole. Ma se poi invece arriverà il castigamatti, per il centrosinistra, per le sue confraternite e le sue camarille saranno dolori.

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