Ecco perché al Cern si danno così da fare per rompere i bosoni

Gentile dott. Granzotto, ho letto di quell’esperimento fatto in Svizzera sulle «particelle», con un macchinario colossale e l’impegno di centinaia di cervelloni: non riesco a immaginarmi i costi. Ebbene, le confesso che ci ho capito poco e, soprattutto, mi domando che vantaggi possa portare all’umanità. Pare che potremo sapere l’origine dalla materia, cioè del mondo, cioè di noi stessi. E sia: poi però dovranno scoprire da dove hanno avuto origine quelle «particelle» e saremo daccapo. Lei ha il raro dono di spiegare le cose complicate con parole semplici e comprensibili anche agli ignoranti come me. La prego, non mi deluda. Grazie, con stima e simpatia.
Siena

E lei non mi aduli troppo, caro Pallini. Anche se quello di spiegare ai lettori cose che non si capiscono è, come diceva Montanelli, il succo del giornalismo, quando si ha a che fare con i bosoni, i leptoni e i fotoni, con i quark e gli antiquark, hai voglia a menare il can per l’aia. Io l’ho capita così: al costo del Pil dell’intero Terzo mondo, se basta, è stato messo su, cioè giù, a cento metri sottoterra, un colossale anello lungo 24 chilometri chiamato Large Hadron Collider (Lhc) che significa Grande Collisore di Adroni (sono andato a controllare: chiamasi adrone una particella subatomica composta da fermioni e gluoni. Chiaro, no?). Scopo dell’Lhc è di sparare fasce di protoni a una velocità prossima a quella della luce con l’avvertenza di spararne parte da destra e parte da sinistra. E vedere l’effetto che fa quando si scontrano. Magari, nel frontale salta fuori qualcosa che in teoria supponiamo possibile, ma che non abbiamo mai visto, come ad esempio il Bosone di Higgs, detto anche «la particella di Dio». Perché? Perché la scienza è portata a ritenere che l’universo sia nato da una roba simile al bosone (e qui concordo con lei, caro Pallini: prima, prima della comparsa di ’sto benedetto bosone, cosa c’era? E chi lo mise lì, il bosone?). Una faccenda più piccola d’una capocchia di spillo, ma così carica di energia e calore che al suo scoppio (il Big Bang) il vuoto (già: e il vuoto come si era formato?) si riempì di plasma e di particelle elementari. Qualche minuto dopo, in quel ribollire cosmico si formò l’elio e l’idrogeno, poi l’universo cominciò a raffreddarsi ed esattamente - la scienza è o non è scientifica? - al termine di 379mila anni i vari nuclei si combinarono fra loro formando gli atomi. Da quel momento, la strada si presentò tutta in discesa.
Ora torniamo al Cern di Ginevra. Gli acceleratori di particelle - il mega anello di 24 chilometri - servono (dovrebbero servire) a portare quelle subatomiche, di particelle, a smisuratamente rimpinzarsi di energia. Ho letto che l’energia di partenza è pari a quella sviluppata da un moscerino in volo. Però, ruotando a perdifiato dentro la giostra ginevrina essa viene compressa in un volume 10 alla trentasettesima potenza più piccolo di quello del moscerino. Meno di un granello di sabbia a confronto del monte Everest. Bene, a concentrazioni di tal portata si verifica il fenomeno che il buon Alberto Einstein aveva espresso nella sua teoria della relatività: l’energia diventa materia. Ed ecco perché dallo scontro di due cosi, ora ho perso il filo e non ricordo più se sono protoni o adroni o altro, ma fa lo stesso, gli scienziati si aspettano di veder scaturire, come dal nulla, centinaia se non migliaia di nuove particelle.

Ciò che confermerebbe la teoria del Big Bang. L’unico problema, e non è faccenda da poco, è che noi sappiamo chi ha costruito l’Lhc. Ma non - e la scienza non ci aiuta certo - chi mise in piedi quel qualcosa che diede origine al Big Bang.

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