Ecco perché le corna fanno perdere la testa

Di corna si muore ancora. Non solo perché le hai fatte, e qualcuno, nel suo delirio (condiviso ancora da troppi), pensa che la cosa richieda una punizione definitiva. Ma perché uscendo dall’esame di spagnolo dove hai preso trenta e lode attraversi la strada di due stagionati balordi che sull’immagine delle corna fatte o subite giocano la propria vita, e quella degli altri. Uno passa tutti i giorni davanti alla casa dell’altro facendo il segno immondo, e l’altro, per questo, decide di sparargli. E invece ferisce una studentessa che (...) (...) non c’entra nulla. Cosa c’è, non sopra, ma nella testa di gente così?
Non è una domanda inutile: questo vecchio simbolo, che sulla testa del diavolo lascia indifferenti i più, immaginato sulla propria, fa perdere il senno a un sacco di gente. Uomini, come questi due scriteriati. Ma anche donne: ogni automobilista ha fatto l’esperienza di innervosire un altro per qualche ragione, e ha notato che mentre il guidatore strombazza, o fa il dito medio, la donna al suo fianco spesso gli mostra ripetute corna. Il fatto è che attorno all’effetto terrificante delle corna non c’è solo il terrore maschile di subirle (anche se questo fa in tutta la faccenda certamente la parte del leone). Ma c’è anche, e molto forte, il potere femminile di metterle. «Fino a quando avrai paura delle mie corna, ti avrò in pugno», questo il messaggio di potere di chi (maschio o femmina che sia) mette le corna, o agita in qualsiasi modo il segno minaccioso o di scherno. Questo ci aiuta anche a capire che le corna c’entrano pochissimo con l’amore e l’affetto, e molto di più col potere in generale, ed in particolare il possesso sull’altra persona. Con cui non è necessario avere un vincolo di natura sessuale: nel caso di Catania, per esempio, la donna «traditrice» non era neppure la moglie, ma una parente. Insomma, qualcuno su cui l’uomo «offeso» rivendicava un possesso, un’influenza. Che veniva invece quotidianamente negata dal gesto beffardo dell’altro che, col segno delle corna, gli ricordava che lui questo potere non ce l’aveva per niente.
Come mai però questi uomini cadono in una vera disperazione quando il gestaccio smaschera la loro assenza di possesso-potere su qualche donna del clan? Perché in quel caso, improvvisamente, affiora, e viene pubblicamente svelata, la grande paura di questo tipo di maschile: l’impotenza. I racconti e i romanzi di Vitaliano Brancati, scrittore della terra dove è stato sparato anche il colpo che ha ferito la studentessa, illustrano alla perfezione questa virilità così obbligatoria e grandiosa da diventare terrore, dubbio, persecuzione, controllo maniacale. E quindi disperazione, perché il controllo assoluto dell’altro, il suo possesso, non c’è mai, non può esserci. Soprattutto quando la tua virilità è così debole e insicura da far dipendere da quel possesso-controllo tutta la tua vita: la dignità, l’onore, la sicurezza, e naturalmente la gioia. Ecco perché molte donne, invece di ribellarsi e denunciare la cultura delle corna come una barbarie e una cretinata assoluta, la confermano e le alzano contro l’automobilista che sorpassa il consorte: perché quell’ometto al volante di fianco a loro è solo il loro schiavo, è uno che non potrebbe vivere al di fuori dalla fantasia di possederle, e quindi dipende totalmente da loro. Sono loro le «domine», le vigilesse, quelle che dicono quando si può sorpassare e quando no.

Naturalmente, come in tutte le confusioni dell’Eros col potere e col gioco schiavo-padrone, tutti diventano schiavi: la donna che deve comunque fare finta di essere l’oggetto posseduto, e l’uomo che vive nell’inconscio terrore della propria sostanziale impotenza.
Quando se ne uscirà, finalmente? Quando tutti, donne e uomini, scopriranno davvero che essere persone libere è più bello che essere immaginari padroni/padrone. Quel giorno, però, non sembra ancora vicinissimo.

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