Ecco perché credere nell'Italia

Sulla carta gli azzurri partono dietro alla Spagna, alla Germania e all'Olanda. Ma il campo può riservare delle sorprese. Per dare il meglio dobbiamo sempre avere una molla che ci spinge a riscattarci

Ecco perché credere nell'Italia

Crediamoci, perché non siamo niente di che. L’Italia dell’Eu­ropeo che comincia oggi è im­perfetta. Non è forte. Parte dietro al­le altre: dietro alla Spagna, alla Ger­mania, all’Olanda.Forse anche die­tro a Francia e Inghilterra. C’è quel­la vigilia di diffidenza che accom­pagna spesso le nostre spedizioni calcisti­che. Normale, forse anche giusto: veniamo da una stagione mediocre. Abbiamo fallito tutto quello che si poteva fallire: la Cham­pions e l’Europa league. Abbiamo un cam­pionato che è inferiore oggi a quello inglese, a quello spagnolo e a quello tedesco. Questo sia­mo. Lo sappiamo, ma troppo spesso ce lo neghiamo. Questo siamo, ma troppo spesso ce ne di­mentichiamo. Non serviva nean­che la botta del calcioscommes­se e di tutto quello che gli sta at­torno. Gli scandali che accompa­gnano il nostro pallone ora sono soltanto il corollario. Sono l’ag­giunta ai guai che abbiamo a pre­scindere. Però ora si gioca. Il pal­lone rotola e lascia dimenticare il resto, almeno fino a quando si va avanti. È il bello, è il brutto. La Nazionale, questa Nazionale, è uno specchio del nostro calcio, è una spremuta concentrata di ciò che abbiamo seminato. È il me­glio, cioè poco, che siamo diven­tati.

Ecco: è questo che ci spinge a crederci. Perché per diventare qualcosa noi dobbiamo partire essendo poco, perché per dare il meglio dobbiamo sempre avere una molla che ci spinge a riscat­tarci. Perché siamo figli di una cultura che prevede il tafazzi­smo come punto di partenza: massacriamoci da soli, prima che lo facciano altri. Fu così nel 2006, quando partimmo convin­ti che saremmo presto tornati: si parlava di una nazionale a fine gi­ro, di calciatori spompati, oltre che provati dalla vicenda Calcio­poli. Fu così nel 1982 e non biso­gna neanche ripeterlo, perché lo sappiamo, ce lo ricordiamo o ce lo ricordano ogni volta. L’Italia che ha vinto è sempre partita de­pressa.

L’Italia che ci ha fatto im­pazzire è sempre stata contesta­ta all’inizio. Allora prendiamoce­la così questa Nazionale. Sbaglia­ta, per qualcuno persino inaffida­bile. Siamo appesi a Balotelli e Cassano, il che riassume il senso di precarietà che contraddistin­gue la nostra avventura in Polo­nia e Ucraina. Balotelli e Cassa­no, cioè i più matti, i meno affida­bili; i più imprevedibili, i meno seri. Non abbiamo certezze, se non quella di avere talento, fin qui soprattutto sprecato. Non ci sorregge neanche una difesa par­ticolarmente solida. Finita l’era Cannavaro-Nesta, siamo nelle mani, nei piedi e nella testa, di ra­gazzi senza grande esperienza, senza medaglie, senza pedigree. Ci si può spaventare oppure ci si può credere. Buttarsi sulla secon­da ci costa pochissimo. Siamo l’Italia, comunque. Siamo quelli che battono sempre i tedeschi e gli unici che non perdono con gli spagnoli. Ecco, domenica ci so­no i campioni del mondo e d’Eu­ropa. Li troviamo subito, questi fenomeni. Praticamente tutto il Barcellona e mezzo Real Madrid nella stessa squadra. Qualcosa che ti farebbe passare persino la voglia di giocare.

Il bello di que­st’Italia è che però non ha paura. Sarà quella che è, cioè poco, però crede in se stessa. Perdere per perdere, tanto va­le giocarsela. Abbiamo la faccia di bronzo di quei due, cioè di Ba­lotelli e Cassano. Poi abbiamo Cesare Prandelli. Uno che si gio­ca molto da oggi: è la prima volta che ha l’opportunità di racconta­re al Paese chi è. Lui ribalta tutto quello che è accaduto finora con i commissari tecnici: sappiamo tutto della sua vita, sappiamo po­co del suo calcio. Comincia dalla parte più difficile,anche lui:l’Eu­ropeo non è il Mondiale. È di me­no ed è di più. È meno importan­te, è più difficile. Meno squadre, meno partite: è la paura del falli­mento, il timore che qualcuno ti possa dire che non sei adeguato, la preoccupazione di non poter mostrare il proprio progetto pal­lonaro. Vale per i giocatori e per gli allenatori. Al mondiale hai tempo: hai la squadra debole, hai la Cina, l’Arabia Saudita, la Corea del Nord, la Nuova Zelan­da. Qui giochi subito pesante. Spagna, poi Croazia, poi Irlanda. Se passi poi hai di fronte il meglio del meglio del pallone mondiale, tranne Argentina e Brasile.

Quat­tro anni fa insultammo una na­zionale che uscì ai rigori contro la Spagna diventata poi campio­ne d’Europa e del mondo. Ades­so la incontriamo alla prima par­tita, sapendo già da ora che se per­diamo sarà una tragedia naziona­le.

Quest’Italia deve fregarsene. Non siamo al loro livello e nean­che a quello di altri. Però, di nuo­vo, siamo l’Italia. Cioè sappiamo come si vive, sappiamo come si fa, sappiamo anche come si vin­ce. Senza illuderci, d’accordo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica