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Ecco perché l’ippica non vuole «rubare» i soldi dei contribuenti

Le dichiarazioni rilasciate dal neo ministro delle Politiche agricole, Giancarlo Galan, suonano come una sentenza di condanna nei confronti dell’ippica. «Sto zitto perché sto ancora studiando - ha detto l'ex governatore del Veneto durante un incontro con gli imprenditori agricoli -, ma mi chiedo perché 150 milioni di euro di passivo devono essere pagati dai cittadini». Galan ha dimostrato di aver studiato poco la pratica-ippica, di una complessità tale da far fare figuracce a chi si avventura in improbabili giudizi prematuri. Dunque il ministro, dopo aver stigmatizzato il suo fastidio per essere assediato da una valanga di telefonate di ippici (sette ogni dieci che riceve), dopo aver giocato in perfetto stile politichese sul significato di priorità ed emergenza del settore, adesso mette brutalmente le carte in tavola quasi a prendere le distanze da tutto quanto di buono fatto dal proprio predecessore, Luca Zaia, che, guarda caso, lo ha sostituito al governo del Veneto. Intendiamoci, il giudizio di Galan è ampiamente condiviso dall’uomo della strada che, in tempi di crisi nera, non può certo vedere di buon occhio che i soldi dei cittadini vadano a toppare i buchi dell’ippica. Ma non è così, è soltanto una visione semplicistica e demagogica della spinosa questione. Il decreto salvaippica, fortemente voluto da Zaia, non è stato uno scippo ai contribuenti o, peggio, una sorta di elemosina, ma un doveroso e sacrosanto risarcimento nei confronti di un settore che negli ultimi dieci anni ha preso soltanto calci in bocca senza mai reagire. Se oggi lo Stato gongola perché il fatturato dei giochi e delle scommesse ha superato il tetto dei 50 miliardi di euro, una fetta del merito va alla negletta ippica che ha concesso che la delicata fase di lancio delle scommesse sportive avvenisse attraverso la propria rete di vendita. L’ippica in un decennio ha perso qualcosa come il 90 per cento della propria quota di mercato. Una sorta di esproprio che grida vendetta: va da sé che abbia diritto ad una forma di indennizzo, anche perché, sino a prova contraria dà lavoro a 50mila famiglie. Con questo non vogliamo dire che l’ippica sia soltanto vittima e non sia immune da colpe: ne ha tante, a cominciare dell’incapacità di esprimere alti dirigenti di spessore come invece avveniva in passato.
L’ippica è la più alta espressione dell’agricoltura e contribuisce all’affermazione del «made in Italy» nel mondo. Sabato all’ippodromo romano delle Capannelle (gremite da più di settemila persone) l'italianissimo Worthadd si è aggiudicato il 127° Derby di galoppo, battendo fra gli altri Ameer, inviato speciale, con grandi ambizioni, dallo sceicco Al Maktoum, il più importante proprietario di cavalli da corsa del pianeta. Worthadd, allevato da Franco Polidori e di proprietà di Diego Romeo, ha tutta l'aria di essere un campioncino in grado di tenere alto l’onore dell'allevamento italiano anche in trasferte estere contro i migliori del continente.

L'ippica è anche questo e deve essere salvaguardata come un bene di tutti.

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