Economia

Ecco come la politica può uccidere un’impresa e bloccare l’economia

Vi è mai capitato di viaggiare lungo le Marche e notare che il vostro telefonino comincia ad avere problemi? Finché siete dalle parti di Rimini tutto ok, ma appena passate di là, Pesaro, Ancona, si perde il campo, la comunicazione cade. «La ragione è tutta politica», spiega Giacinto Cavalieri, fondatore della Sitt Srl, la società che fino al 2001 installava il 70% dei ripetitori per la telefonia mobile nelle Marche. Poi fallita. C’è una politica che cerca di aiutare le aziende, in questi mesi di crisi è stata la sua occupazione principale. E c’è una politica che al business finisce per mettere i bastoni fra le ruote.
Negli anni novanta la Sitt si conquista un posto di rilievo in regione nelle realizzazioni «chiavi in mano» di ripetitori Gsm e Umts e contratti con i principali operatori, da Tim a Vodafone a H3g. Individua i siti, chiede i permessi, progetta il ripetitore, lo installa, esegue la manutenzione. Ottanta dipendenti più un indotto di altri 120 e un fatturato in crescita costante, fino ai quasi 6 milioni del 2001. Il restante 30% del mercato marchigiano se lo spartiscono un pugno di aziende non del luogo: la Sirti, la Elettromontaggi di Perugia, la Ciet di Arezzo. «Non ci occupavamo solo di telefonia mobile, ma da lì arrivava oltre la metà del nostro giro d’affari», spiega Cavalieri, ingegnere con 20 anni di esperienza nelle tlc, tra Telecom, Ericsson e Alcatel.
I guai arrivano nel 2001: la Regione (nell’ultima legislatura) approva la legge 25 in materia di elettrosmog che detta criteri molto restrittivi per la realizzazione delle stazioni radio (per chi ne capisce: 3 volt/metro il limite di «densità» del campo, contro i 6 a livello nazionale, parametro già basso rispetto al resto d’Europa). Racconta Cavalieri: «Erano valori slegati da ogni criterio tecnico-scientifico. Diventò impossibile installare nuovi ripetitori, gli operatori telefonici sono andati ad investire in altre regioni e a noi hanno cancellato i contratti».
«La legge è stata ispirata dal principio di tutela della salute dei cittadini» ci hanno spiegato alla Regione Marche. Ma secondo il fondatore della Sitt: «I vincoli sono stati decisi solo in sede politica, non è stato chiesto un singolo parere all’Università di Ancona o al centro oncologico». «Poi - prosegue - la legge ha impedito l’installazione di tecnologie meno inquinanti e, per garantire la copertura del territorio, ha costretto ad aumentare la potenza del segnale, col risultato che il campo elettromagnetico attorno all’orecchio di chi parla al cellulare è più forte».
Nel 2003 la Cassazione ha bocciato gli articoli «incriminati», perché la materia è di competenza nazionale. Solo che la Sitt è fallita, lasciando a casa i suoi dipendenti. Gli investimenti erano stati fatti ma da un giorno all’altro il grosso delle entrate è venuto meno. «Il rapporto causa-effetto tra la legge e il fallimento dell’azienda non è dimostrato» fa notare la Regione. La replica dell’imprenditore: «Abbiamo tirato fino al 2006, ma già dal 2001 avevamo il cappio al collo, le banche hanno cominciato a chiuderci il credito». Dopo la sentenza della Cassazione il settore è ripartito, ma «ormai non avevamo la forza di rientrare, 20 mesi sono bastati per metterci fuori mercato».


«Se al nostro fallimento si aggiunge il danno al sistema produttivo di telefonini che funzionavano male, la legge è costata alla regione qualcosa come 40 milioni», conclude l'ingegnere, che - va detto - non perde il buon umore: «Solo adesso i telefonini nelle Marche sono tornati a funzionare decentemente».

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