Cultura e Spettacoli

«Ecco come provammo a fermare Adolf Hitler»

Parla il barone Philipp von Boeselager, l’ultimo sopravvissuto del fallito attentato al Führer del 20 luglio 1944

Ha ottantotto anni, ma ne dimostra molti di meno. Tutti lo chiamano ancora «il generale» e all’ingresso della sua abitazione, a Kreuzberg, si legge il motto latino Et si omnes ego non, «anche se tutti, certo non io». Philipp Freiherr von Boeselager è l’ultimo sopravvissuto degli aristocratici ufficiali che il 20 luglio 1944 organizzarono l’attentato contro Adolf Hitler nel suo quartier generale di Rastenburg, la «Tana del lupo». Attentato che non raggiunse l’obiettivo, com’è noto. Il New York Times scrisse che il tentativo di uccidere il Führer faceva pensare «più all’atmosfera di un cupo mondo criminale che a ciò che ci si aspetterebbe da un normale corpo di ufficiali di uno Stato civile», mentre l’Herald Tribune commentava: «Agli americani non dispiacerà che la bomba abbia risparmiato Hitler e che ora egli si liberi personalmente dei suoi generali. D’altronde gli americani non hanno nulla da spartire con gli aristocratici, in particolare con quelli che onorano i colpi di pugnale».
Von Boeselager, che aveva fornito l’esplosivo per l’attentato e avrebbe dovuto marciare con le sue truppe su Berlino subito dopo la morte del dittatore, venne avvertito in tempo e si fermò. Per questo ebbe salva la vita e soltanto alla fine della guerra emerse il suo coinvolgimento nel complotto. L’ex ufficiale della Wehrmacht, che oggi prenderà parte al convegno sulla figura di Pio XII e del vescovo antinazista Clemens von Galen presso la Pontificia università lateranense, ha anticipato al Giornale il suo racconto.
«Nell’inverno 1941 - spiega - mi trovavo sul fronte orientale ed ero uno degli ufficiali del maresciallo von Kluge. Un giorno lessi un rapporto da una zona controllata dalle Ss, nel quale si leggeva che cinque zingari avrebbero ricevuto un “trattamento speciale”. Non avevo mai sentito questo termine: chiesi informazioni a un ufficiale delle Ss il quale mi spiegò che sarebbero stati uccisi con un colpo di pistola. Von Kluge e io eravamo sconvolti: sapemmo che tutti gli ebrei e tutti gli zingari che cadevano nelle mani delle Ss venivano uccisi. C’erano ordini superiori in questo senso». Boeselager divenne così parte del gruppo di ufficiali che intendevano fermare Hitler. «Cominciai a partecipare alle riunioni del gruppo del generale Hans Henning von Tresckow. Ricevevamo sempre nuove notizie sui crimini commessi dai nazisti, così il problema per noi non era più se fosse stato lecito pianificare un attentato contro Hitler, ma solo quando e come farlo». Nel marzo 1943, il gruppo progetta di uccidere Hitler e Himmler durante una visita alle truppe dell’armata centrale. «Coinvolsi mio fratello Georg, ufficiale di cavalleria e pluridecorato. Ma poi sapemmo che Himmler non avrebbe accompagnato Hitler e allora il piano fu sospeso: temevamo che il capo delle Ss da Berlino avrebbe guidato una guerra civile contro di noi, per questo credevamo di doverli eliminare insieme».
Si arriva così all’attentato del luglio 1944. Boeselager racconta: «Il generale Stieff, attraverso mio fratello, mi diede l’ordine di portargli degli ordigni esplosivi di fabbricazione inglese. Sistemai l’esplosivo nella mia valigia personale e presi un aereo militare. Stieff mi aveva assicurato che un suo attendente mi avrebbe ricevuto. Ma quando arrivai a destinazione, non c’era nessuno. Scesi con la mia valigia, molto più pesante di una valigia normale, e passai un brutto momento quando dei militari si offrirono di aiutarmi. Riuscii a tenere quella valigia con me. Finalmente l’attendente di Stieff venne a prendermi. Sapevo che quegli ordigni servivano per uccidere Hitler, e all’inizio di luglio del 1944 mi venne detto che l’attentato era imminente».
Boeselager aveva ricevuto dai cospiratori un compito preciso: «Il 18 luglio mi venne ordinato di prepararmi a marciare su Berlino con 1.200 uomini. Era tutto pronto. Il 20 luglio venni fermato in tempo e avvertito che l’attentato era fallito. Per questo ho avuto salva la vita, mentre gli altri membri del gruppo vennero catturati e uccisi oppure si suicidarono». Alle 12 di quel 20 luglio, a Rastenburg, nella Prussia orientale, l’aristocratico colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, dopo essersi raccolto qualche istante in preghiera, entra nella «Tana del lupo» e piazza l’esplosivo sotto il tavolo dove si sarebbe seduto Hitler. Ma il Führer riesce ancora una volta a scampare ai suoi attentatori.

E quel colpo di Stato che avrebbe potuto forse risparmiare la vita a milioni di persone non sarebbe mai avvenuto.

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