«Ecco la quotazione su misura per le Pmi che vogliono crescere»

Per le Pmi italiane che vogliono crescere o stanno cercando di risollevarsi dalla crisi, la soluzione potrebbe essere una quotazione sull’Aim, il mercato per le small cap portato in Italia dalla Borsa londinese dopo l’acquisizione di Piazza Affari.
«Consiglio alle realtà che stanno pensando di aprire il capitale al private equity di valutare l’Aim perché, a parità di mezzi erogati, i fondi chiedono posti in consiglio, sono ossessionati di preparare la propria via di uscita e difficilmente portano competenze di business», spiega Giovanni Natali, fondatore della società di consulenza Natali&Partners.
Fiducia nell’Aim che Natali ha messo, in pratica, portando per primo sul listino la sua investment company Ikf e stringendo due alleanze: una con Ambromobiliare a Milano e l’altra con Methorios a Roma. La squadra, che ha terminato da poco di seguire il debutto di Poligrafici Printing, dopo Pasqua si occuperà di Gpi e di Unione alberghi italiani mentre in autunno sarà il turno di Casaforte.
Dottor Natali, perché le Pmi dovrebbero credere nell’Aim?
«Scegliere l’Aim Italia equivale a essere quotati su un circuito mondiale, che a Londra esiste da dieci anni e che è seguito da 500 broker internazionali contro i circa 80 che operano su Star».
Però non ha le garanzie di un mercato regolamentato?
«Aim è un sistema di scambi organizzati quindi fa riferimento unicamente al Tuf e al Codice civile, anche se resta la vigilanza della Consob per gli abusi di mercato. Questo permette una procedura di collocamento molto snella: tutto si svolge a Milano con contatti tra la matricola, la Borsa e il Nomad (Nominated advisor, di norma una banca) che è una sorta di angelo custode della società. E, visto che all’Ipo possono partecipare solo gli investitori istituzionali, non occorre approntare documenti per la Consob».
A una Pmi quanto viene a costare il debutto?
«Se quotarsi sul mercato principale o su Star comporta una spesa di 7-800mila euro al netto delle commissioni di collocamento, sull’Aim bastano 2-300mila euro. Quindi le Pmi italiane hanno uno strumento per raccogliere denaro a costi più bassi e con una procedura meno burocratica».
Allora perché il Mac non è mai decollato?
«Nel dicembre 2006 quando l’allora Borsa Italiana lanciò il Mac disse di aver portato in Italia l’Aim semplificandolo; ma poi il London stock exchange ha comperato Piazza Affari e il progetto è stato accantonato seppur questo listino sopravviverà. Inoltre l’Aim, a differenza del Mac, tratta in continuo. Ricordo che possono quotarsi tutte le Pmi, senza alcun limite minimo di capitalizzazione: il 10% delle 370 società scambiate a Londra è sotto i cinque milioni di sterline. E un terzo delle matricole ha lanciato da 3 a 5 aumenti di capitale per raccogliere progressivamente i mezzi necessari a crescere».
Come giudica i risultati dell’Aim?
«In meno di un anno di vita del listino, si sono quotate 7 società. Il sistema bancario dovrebbe, tuttavia, fare uno sforzo ulteriore, creando fondi di investimento pensati per l’Aim. Il problema è che c’è ancora un po’ di miopia e che molte case di investimento non lo fanno in quanto non lo prevede lo statuto».
Quali vantaggi ha portato a Ikf?
«Come prima matricola abbiamo avuto un grande guadagno in termini di immagine. Se una società è interessata all’Aim è difficile che non ci faccia una telefonata».
Lse ha finito per fagocitare Piazza Affari. Vendere Borsa Italiana a Londra è stata un’occasione persa per il nostro Sistema-Paese?
«Il numero delle Borse mondiali è destinato a ridursi e come liberista sarei contento di avere un unico grande listino europeo costruito sul modello della Bce.

Ma è inutile negarlo, Londra comanda: a breve Borsa Italiana diventerà un ufficio di rappresentanza, non avrebbe senso mantenere due strutture sovrapposte a poco più di un’ora di aereo. L’abbiamo venduta e non possiamo lamentarci. Ma abbiamo consegnato agli stranieri una parte importate della nostra sovranità nazionale in ambito finanziario».

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