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Ecco la sanità di Obama: non sarà all’europea

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Ecco la sanità di Obama: non sarà all’europea

Riecco Obama, il miglior Obama. Un po’ predicatore e un po’ profeta, eppure al contempo molto concreto, circostanziato, che sa parlare al cuore e alla mente degli elettori. Ascoltandolo, mercoledì sera di fronte al Congresso, gli americani si sono entusiasmati e poi commossi, ma soprattutto hanno capito: una luce nella nebbia di una battaglia segnata dalla spregiudicatezza di chi si oppone alla riforma della Sanità e dall’ambiguità di una Casa Bianca incapace di indicare un percorso concreto.
Non è detto che ora il Congresso approvi la riforma. Quasi tutti i presidenti ci hanno provato, da Roosevelt in poi, e nessuno ci è riuscito. Sessantacinque anni di immobilismo. È possibile che anche Obama fallisca, ma con il discorso dell’altra notte ha dimostrato una capacità di leadership che sembrava aver smarrito negli ultimi mesi. Ha indicato una rotta, dei valori, un obiettivo. Ora è chiaro a tutti che non vuole introdurre una Sanità pubblica sul modello europeo, ma garantire una copertura assicurativa minima per tutti i cittadini, correggendo, gli abusi, le storture, le ingiustizie dell’attuale sistema.
Per noi europei è difficile capire, ma negli Usa non sono infrequenti casi di cittadini che pagano per anni le polizze ma quando si ammalano seriamente si vedono revocare la copertura dall’assicurazione, che avanzando giustificazioni risibili - come quella di non aver denunciato un caso di acne o una malattia infantile - riescono a lasciare chi è malato di cancro senza cure, abbandonato a se stesso. Obama ha denunciato l’esplosione dei costi della Sanità, che sono triplicati rispetto ai redditi reali, portando i prezzi delle polizze a livelli insostenibili non solo per i singoli, ma spesso anche per piccole e medie aziende, che un tempo riuscivano a includere l’assicurazione malattia tra i benefit per i propri dipendenti. Ha biasimato le malversazioni, gli sprechi, il ricorso ad esami non necessari da parte dei medici per cautelarsi da eventuali cause, anche oltre il buon senso. Insomma, ha radiografato i mali della Sanità Usa.
E ha proposto, finalmente, qualche riforma concreta. Innanzitutto, la nascita di una sorta di «Borsa delle assicurazioni» in cui ogni cittadino potrà confrontare le offerte delle diverse compagnie; l’introduzione di una polizza minima, poco costosa, lasciando libero il cittadino di incrementare la qualità della copertura; il divieto di revocare l’assistenza a chi si ammala. Ha spiegato che l’intervento statale in realtà si ridurrebbe alla nascita di una Cassa pubblica, senza fini di lucro, che si affiancherebbe a quelle private, allo scopo di contenere i costi e allargare il mercato.
Già, il mercato: è una parola che ha pronunciato spesso, come quelle di concorrenza e profitto. Non ha parlato come un socialista, ma come un liberale moderato, denunciando i tanti Stati americani dove esiste una situazione di oligopolio tra le compagnie e in Alabama addirittura di monopolio, ricordando che quando manca la concorrenza, i prezzi salgono e le prestazioni scendono.
Come previsto, non ha lanciato ultimatum. Com’è nella sua indole ha tentato di coinvolgere i repubblicani anziché escluderli, facendo propria un’idea del suo ex contendente repubblicano John McCain, e ha spalancato la porta ai democratici di centro, finora critici. Insomma, ha invocato non la rivoluzione del sistema sanitario, ma una correzione di rotta, «perché l’America è l’unica tra le democrazie più avanzate a non garantire un minimo di equità ai suoi cittadini in campo sanitario».
Ha strappato più di una lacrime, svelando che Ted Kennedy gli ha scritto una lettera poco prima di morire, sostenendo la riforma «come battaglia morale in linea con i principi di giustizia sociale e i valori costituenti della nazione». E ha fatto centro: secondo un sondaggio della Cnn due terzi dei telespettatori hanno approvato il suo messaggio, anche se il difficile viene ora. Perché non basta un discorso per convincere i deputati riottosi, né per sconfiggere le lobby che vogliono lo status quo. Ma si è riscattato. Obama ha dimostrato di esserci.

E non era affatto scontato.

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