Ecco come si confeziona un piccolo capolavoro

Nobildonne divise tra snobistiche recriminazioni sociali e algidi tradimenti. Cameriere curiose. Giovani depressi spinti ad atti estremi. Cocchieri infreddoliti, pazienti e avvezzi alla dura legge della vita. È un quadro tinteggiato a furia di contraddizioni e sentimenti disparati quello che emerge dalla novellistica italiana di fine Ottocento, presa a materia prima di uno spettacolo intelligente, originale e vitale che, Rapsodia Quartet per carrozza e lampioni a gas il titolo, è in replica in questi giorni alla sala Artaud dell’Orologio. Ne sono interpreti i bravi Paola Bonesi, Maurizio Repetto, Paola Sambo e Gloria Sapio, tutti coinvolti anche a livello ideativo (regia siglata dal marchio PauHaus Project) e capaci di realizzare con pochi mezzi un piccolo capolavoro. Una pièce di forte teatralità dove scrittori come Emilio De Marchi (Demetrio Pianelli il suo romanzo più famoso), Matilde Serao e Federico De Roberto (celebre autore de I Viceré) vengono riletti nella loro produzione minore: brevi racconti che lasciano trapelare un’acutezza di analisi sociale e antropologica davvero sorprendente. Tanto più sorprendente perché valorizzata da una scrittura scenica che, facendo leva sulle potenzialità espressive degli interpreti e su una organicità «sensoriale» fatta di sottolineature visive e uditive (dai rumori più banali alla musica più sofisticata, con pregevoli intarsi di canzoni eseguite dal vivo e segmenti de La Traviata), riesce a restituire assai bene l’atmosfera di crisi dell’Italia post-unitaria. Al pubblico sembra di stare dentro un libro animato dalle cui pagine, via via che i quattro virtuosi «orchestrali» usano i loro insoliti strumenti, si stagliano figure emblematiche e del quale è possibile avvertire ogni più piccolo dettaglio: dallo scampanellio delle carrozze alla neve che scende, dal nitrire dei cavalli al fragore della pioggia. Proprio come se tutto (punteggiatura e pause comprese) potesse rivivere attraverso il corpo e la voce degli attori, davvero efficaci nella loro non facile prova. Come se il teatro, grazie pure allo sguardo ironico qui posto in gioco, riuscisse a rendere «tridimensionale» la letteratura, a farcela assaporare nel suo spessore fisico e, contemporaneamente, nel suo significato più profondo.
Milano, Roma e Palermo sono i tre set in cui si svolgono le diverse vicende «animate» in scena. A legarle insieme ci pensa la figura del cocchiere (nelle tre declinazioni regionalistiche del «brümista», «vetturino» e «gnure»): uomo di strada che guida e osserva l’esistenza degli altri, lavoratore segnato dalla fatica e dagli stenti economici che si fa depositario di accenti necessariamente polemici.
Il primo quadro (da una novella di De Marchi) denuncia le difficoltà di incontro tra la classe nobiliare lombarda e la società contadina. Il secondo (Serao) mette a fuoco il perbenismo che, sotto lo sguardo attento di due accorte cameriere, attanaglia una nobile coppia di coniugi romani. Il terzo, infine, ricostruisce l’indagine che un ispettore di polizia svolge nella pensione palermitana dove un giovane si è tolto la vita (De Roberto).


Eccola dunque quest’Italia lacerata e fragile, contraddittoria e classista dove, tra accenti veristi e moderne tensioni espressioniste, è in fondo possibile ritrovare molti aspetti del Bel Paese odierno. Fino al 28 gennaio. Info: 06/6875550.

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