Paolo StefanatoIl private banking in Italia è un settore relativamente recente: fino all'inizio degli anni Ottanta non esistevano nemmeno i fondi d'investimento, e solo dagli anni Novanta è possibile investire all'estero. Prima, chi aveva del risparmio lo teneva sul conto corrente, oppure acquistava titoli di Stato. Chi investiva in azioni e si serviva degli agenti di cambio era una minoranza. Da allora strada è stata fatta, le gestioni patrimoniali hanno affinato le loro competenze e i private banker sono diventati i veri consiglieri economici delle famiglie.Chiediamo ad Alberto Albertini, amministratore delegato di Banca Albertini-Syz, quali sono i modelli tipici ai quali far risalire questo tipo di attività. «Nella nostra banca risponde il banchiere - la modalità più utilizzata è quella della gestione patrimoniale discrezionale, nella quale la banca ha un mandato per svolgere l'attività in libertà, all'interno di concordati con il cliente (per esempio, i pesi dei vari strumenti e delle aree geografiche in cui investire). Le singole scelte spettano alla banca, ma il cliente, costantemente aggiornato, può recedere in qualunque momento, senza vincoli né penali. E poi c'è il conto amministrato con consulenza, nel quale la banca non ha discrezionalità nella gestione, ma assiste il cliente nelle decisioni. Nel conto amministrato senza consulenza, infine, la banca è solo lo strumento operativo delle scelte del cliente».E il cliente-tipo quant'è ricco?«Non è tenuto a dirci né il suo reddito né la consistenza complessiva del suo patrimonio. Tuttavia, dobbiamo capire quanto peso ha sulla sua ricchezza la cifra che ci affida».E questa, che dimensioni ha mediamente?«Solo da 500mila euro in su si può impostare un portafoglio ben diversificato. Cifre inferiori si posso accettare da clienti potenziali, per un periodo di prova».E i clienti come arrivano?«Il sistema più consueto è il passaparola».Il private banker promette dei rendimenti?«Non può prendere alcun impegno. Con il cliente si può concordare un obiettivo di risultato in base a ragionevoli attese circa l'andamento dei mercati, ma non vi può essere garanzia circa il suo raggiungimento».Si spieghi meglio.«Oggi i tassi sono bassi o negativi: se non voglio assumere rischi, sono certo di perdere. L'esempio è il bund tedesco, sicuro ma con la certezza di erodere il capitale. Quindi le prospettive sono date sempre da un mix tra rischio e possibilità d ritorno dell'investimento. Le azioni danno un'alea elevata, nel mezzo stanno molti altri strumenti».La clientela capisce?«Sì, chi arriva al private banking i soldi li aveva già e già li conosce. In ogni caso il profilo di competenza e di rischio del cliente va obbligatoriamente verificato. È la direttiva Mifid».Mediamente qual è il livello di cultura finanziaria della clientela?«Ci sono molti più strumenti del passato, e il cliente in genere è ben informato».Il private banking lo fanno sia le cosiddetta boutique sia le banche commerciali. Quali sono le differenze?«Spesso i prodotti sono consimili, e se il lavoro è condotto seriamente non importa chi lo fa. Ci sono grandi banche attrezzate internamente, altre che usano la consulenza di terzi, anche in forme simili all'outsourcing. Ma il cliente resta loro: le banche sono gelosissime dei propri clienti».La vendita di fondi allo sportello è già gestione del risparmio?«Teoricamente sì, è il livello più elementare. Ma la banca deve avere le competenze per selezionare i prodotti da offrire e seguire il loro andamento nel tempo. In realtà c'è un'altra grossa questione collegata a tutto questo. Le banche commerciali hanno capito che è sempre più difficile avere profitti col credito, specie in tempi di tassi bassi.
In molti casi poi, il mestiere di prestare i soldi non lo hanno fatto bene, e la prova sta nelle enormi sofferenze che affliggono il sistema. In più la Bce comprime le possibilità di fare credito perché chiede coefficienti patrimoniali sostenuti. Così la banca tradizionale, se vuole sopravvivere, deve fare altro...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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