Tra politici e giudici cè da chiedersi in che mani siamo. Spulciando nella cronaca e riflettendoci un po, ne escono delle belle: un verminaio che può divertire o impensierire, vedete voi. Quanto segue è tratto dai quotidiani degli ultimi due giorni.
Leggendo del presunto video hard di Alessandra Mussolini, ho appreso la seguente sottonotizia. E cioè che la coriacea parlamentare ha perso la battaglia giudiziaria contro il film Francesca del romeno Bobby Paunescu. Nella pellicola, un attore la definisce «una troia che vuole ammazzare tutti i romeni». Alessandra ha pensato che dare della «troia» a una signora fosse in Italia un insulto grave. Se proveniente da un marito, causa di separazione; da un superiore, mobbing della peggior specie; da un estraneo, condanna sicura nei tre gradi di giudizio per ingiuria, diffamazione, ecc. A conferma, ci sono sentenze di Cassazione quante se ne vuole.
Così, si è rivolta fiduciosa alla giustizia chiedendo di impedire la circolazione del film finché la parola non fosse stata tolta o attenuata. Be, il giudice le ha dato torto stabilendo - stando ai resoconti - che il diritto di critica del regista prevaleva sul diritto della parlamentare a non essere infamata. Un secondo giudice ha poi confermato il diniego del collega e, per soprammercato, condannato Mussolini a pagare 5000 euro di spese. Neanche il beneficio di dimezzarle, accollando laltra metà a Paunescu. Come per farle capire che era ricorsa alla giustizia con temerarietà. Anzi con arroganza, consapevole che ne mancavano i presupposti e che perciò andava punita: tenendosi il troia, facendolo echeggiare in tutti i cinema della penisola e multandola pure con un bel gruzzolo. Così impara.
Io non so come le lettrici, al posto suo, reagirebbero o i lettori se lanalogo capitasse alle loro mogli o figlie. Personalmente sarei incline, dora in avanti, ad approfittare dei nuovi orizzonti giurisprudenziali per dare del «troio» a chiunque mi stia sulle scatole, giudici compresi. Ne ricaverei particolare soddisfazione essendo stato da loro querelato e condannato per essermi solo azzardato a definirne alcuni «schierati» o «di parte» documentandolo ampiamente. Tuttavia, non lo farò e sconsiglio altri dal farlo perché la libertà di offesa riconosciuta dalla pronuncia è verosimilmente limitata alla sola parlamentare del Pdl e non estensibile né alle sue colleghe di altri schieramenti, né alle signore in toga, né a qualsivoglia essere deambulante che non sia appunto Alessandra Mussolini. Questo caso da manuale è un primo esempio di giustizia allitaliana.
Laltro è ovviamente Gaspare Spatuzza, il pentito che accusa il Cav di essere dietro le stragi mafiose di Falcone e Borsellino del 1992 e le bombe di Firenze, Roma, ecc. del 1993. Questo Spatuzza, attualmente massimo collaboratore degli ermellini di Firenze e Palermo, è un tipo di suprema affidabilità. Il quarantaquattrenne ha cominciato a uccidere imberbe al servizio della cosca Brancaccio. Col susseguirsi delle primavere ha ammazzato via via decine di persone, dal prete antimafia Don Puglisi al tredicenne Giuseppe Di Matteo, da lui personalmente sciolto nellacido. Prima di assassinare in proprio, si era fatto le ossa pedinando i morituri e indicando ai killer suoi predecessori dove rintracciarli per farli fuori. Arrestato dodici anni fa, è stato condannato a diversi ergastoli definitivi.
Da qualche tempo parla col Signore, legge la Bibbia ed è atteso ad horas un suo appello a Benedetto XVI per implorarne il perdono. Con questa formidabile garanzia di sincerità e sanità mentale, le toghe ne raccolgono le contrite confessioni che convergono tutte, immancabilmente, sulle trame del Cav. Non uno di questi solerti magistrati che dica - come fece a suo tempo il giudice Falcone con un altro pentito dello stesso stampo (Giuseppe Pellegriti) - «ma io da questo manigoldo, col piffero che mi faccio infinocchiare». Invece, tutti lì a prenderlo per oro colato. Con la conseguenza che - a parte i destini personali del Cav che pure dovrebbero stare a cuore agli onesti refrattari alle mascalzonate - il governo, la legislatura, lintero Paese sono ostaggio di un tagliagole delle sentine palermitane. E questo è un altro bel quadretto di come si sia ridotta la Giustizia, suprema dea, dalle nostre parti.
Avviandomi alla conclusione, segnalo due fatti meno perversi ma indicativi. Riguardano i politici che non sono da meno. La Lega ha proposto il divieto di fumare a chi guida. Per non passare da moralista lha buttata sulla sicurezza stradale. Il guidatore - osservano i proponenti - non deve distrarsi con la sigaretta, la sua accensione, il filo di fumo davanti agli occhi, il gesto di pulirsi labito dalla cenere caduta, lo spegnimento. Linterdetto leghista si limita al pilota. Si può dunque immaginare che i passeggeri - quattro in una utilitaria, sette nel Suv - siano invece liberi di fumare come balcanici. Se questo avviene, come avverrà, lo scenario che ne deriva è talmente grottesco da fare da solo giustizia della nuova e stupidissima legge: lautista, virtuoso e sobrio, sarà avvolto dagli sbuffi e dai lapilli altrui fino a rimanerne stordito. Alla prima curva, gli affumicati precipiteranno tutti insieme nel burrone.
Questa stolta proposta si inserisce nel solito filone antilibertario dello Stato che ti entra in casa. Prolungata, nella fattispecie, alla Panda. Né più né meno di quanto accade negli Usa puritani le cui leggi limitano le libertà dalcova stabilendo cosa sì e cosa no sotto le coperte. Stupisce che a farsene paladina sia la Lega, in genere politicamente scorretta. Avevamo già dato col casco e la cintura, imposti come salvavita ma col sottinteso totalitario che ne sarebbe stato alleggerito il Servizio sanitario nazionale. Stavolta, mancando anche questo, emerge solo larbitrio.
Lultima da urlo è anchessa frutto di fantasia padana in evidente fase di obnubilamento: ridurre alla metà il periodo di cassa integrazione per gli extracomunitari. Non basta che facciano lo stesso lavoro e versino i medesimi contributi. Restano diversi. Complimenti per lalto senso di giustizia.
Sottostiamo a Spatuzza o urge una regolata?
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