Gian Marco Chiocci
È caccia alle talpe della Juve. Alle «gole profonde» annidate in quella procura di Torino che per prima ha sollevato il coperchio sul pentolone del calcio sporco e, per prima, lha richiuso a sorpresa archiviando il tutto. Uomini ovunque. Una rete «coperta» ad altissimo livello, dalla polizia alla Guardia di finanza, dai servizi segreti fino al Viminale. Un gruppo di informatori fidati in grado di soffiare a Luciano Moggi notizie riservatissime sulle inchieste in corso. Ecco quel che emerge dalle informative dei carabinieri che irrobustiscono il procedimento della procura di Napoli.
Per i militari del Reparto operativo di Roma uno degli aspetti più allarmanti emersi dallattività investigativa «è sicuramente quello costituito dalle straordinarie capacità di interlocuzione con ambienti istituzionali, con particolare propensione per quelli investigativi/giudiziari, che in particolare il Moggi Luciano può utilizzare per far fronte alle ricorrenti esigenze dellassociazione». Oltreché nella gestione degli arbitri, e nel monopolio dei giocatori, Luciano Moggi dimostra eccelse qualità nel «calamitare ed acquisire informazioni inerenti le attività investigative poste in essere nei confronti dellassociazione in genere e dei suoi accoliti e la tempestività con cui egli viene informato sulle molteplici situazioni giudiziarie in corso». Conosce ogni iniziativa giudiziaria. Sa tutto. Sa dunque come muoversi per tempo, quali precauzioni prendere, quale strategia difensiva applicare a seconda dei vari problemi giudiziari. «Uno strumento formidabile soprattutto per alterare ed inquinare le situazioni al fine di evitare conseguenze giudiziarie più gravi».
Ma quel che viene definito «allarmante» è il quadro dei soggetti istituzionali che si lega, a vario titolo, a Lucianone. «Con particolare riferimento a coloro che lo fanno dopo aver diretto attività dindagine nei confronti dello stesso oppure nei confronti di un interesse associativo, e che animati, in alcuni casi, dalla fede juventina riescono a venir meno ai più elementari doveri istituzionali pur di ottenere in cambio dei loro servigi stock di biglietti per le partite, stock di gadget, accompagnamenti per trasferte estere e finanche intercessioni in tema di carriera, avanzamento ed altro». Il tutto avviene nellambito di «una rete di cointeressenze straordinarie e di altissimo livello» che consente allorganizzazione moggiana «di poter godere di unassoluta impunità affiancata ad una assoluta tracotanza nei comportamenti derivante proprio dalla consapevolezza delle elevate coperture godute».
Nelle carte dellinchiesta napoletana si fa riferimento ad alcune «informazioni riservatissime» che Luciano Moggi aveva acquisito tramite un certo «Peppe» la cui scheda telefonica era intestata a un maresciallo della Guardia di finanza già in servizio al Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Torino. La soffiata aveva riguardato larrivo, presso gli uffici giudiziari della Procura di Torino, dello stralcio delle indagini della procura di Roma sul versante finanziario di varie società calcistiche, soprattutto in relazione alle iscrizioni ai campionati di calcio ed anche della società Gea World. Il sottufficiale passava notizie coperte dal segreto istruttorio e Moggi - attraverso la sua segreteria - nel contraccambiare con biglietti per lo stadio e gadget della Juventus, spesso «lo invitava a raggiungerlo fuori dagli orari dufficio per avere un colloquio più tranquillo e riservato». Intercettando il maresciallo Peppe, è spuntato il maresciallo D., già arrestato nel 1999 dalla procura di Milano per reati contro la pubblica amministrazione. «Costui - specificano i carabinieri - ha fornito notizie riservate che il Moggi ha poi utilizzato per imbastire una specifica difesa ed evitare quindi nuovi approfondimenti giudiziari». Allepoca dei fatti contestati - si legge nelle informative - «svolgeva servizio presso la Procura di Torino, come diretto collaboratore dellallora sostituto procuratore Tinti Bruno, ora a capo del pool per i reati finanziari della medesima Procura». Il collegamento del maresciallo con Tinti «assume particolare rilevanza alla luce del fatto che il predetto magistrato, attualmente procuratore aggiunto della Procura di Torino, è titolare, coadiuvato dal pm Alberto Benso, del fascicolo processuale originato proprio dalla Procura di Roma sul cosiddetto doping amministrativo procedendo per l'ipotesi di reato di falso in bilancio».
Indagando sulle «talpe» in procura, i carabinieri si imbattono poi in una telefonata intercettata tra Moggi e la sua segretaria. È il primo febbraio 2005. La donna spiega al Capo che i due marescialli lo stanno attendendo in ufficio e hanno bisogno di parlare urgentemente con lui o con Giraudo «assolutamente prima di colazione». «Ok, fra dieci minuti arrivo» taglia corto Lucianone. Il giorno successivo allincontro Moggi convoca i suoi collaboratori ai quali dà disposizione di ricostruire i passaggi (riferito ad acquisti, cessioni e prestiti) dei giocatori DAmato e Cingolani fino al loro ultimo trasferimento. «Due giorni dopo - insistono gli investigatori - lavvocato (...) comunica al Moggi lesito di una verifica subita dalla società bianconera, evidentemente da parte della procura di Torino, che a suo dire è andata molto bene e che riguardava proprio questioni attinenti le compartecipazioni e le stanze di compensazione. Al termine del colloquio lavvocato (...) ricorda a Moggi che devono riparlare del giocatore DAmato e preparare qualcosa nelleventualità venga richiesta qualche altra informazione». La progressione temporale delle conversazioni e degli eventi in esse descritti «è un chiaro segnale del fatto» che i due marescialli «con tutta evidenza hanno informato il Moggi dellindagine in corso con specifici particolari relativi al tipo di indirizzo investigativo, consentendo in tal modo al dirigente di far preparare per tempo la documentazione necessaria a dimostrare la correttezza del modus operandi della società bianconera e di nascondere o addirittura eliminare documenti utili per la ricostruzione genuina dei fatti».
Al di là di ciò che è emerso dallinvito a comparire notificato a Luciano Moggi, e che vede indagati due poliziotti della Digos di Roma e due ufficiali della Gdf, altri sbirri «gole profonde» (della questura di Torino) spuntano dalle intercettazioni. Ce nè uno che prende ordini da Luciano Moggi per consultare il Ced, che i carabinieri spiegano essere o la Banca-dati delle forze di polizia o il registro informatico della procura di Torino. «In entrambi i casi - osservano - si evidenzia il fatto che si tratta di controlli eseguibili solo per esigenze di indagini di polizia giudiziaria e che un eventuale interrogazione effettuata su richiesta del dirigente bianconero comporta una violazione della legge».
Nel dipanare la rete di informatori il Reparto Operativo scioglie il nodo delle intrusioni nei computer delle indagini. Sotto la lente di ingrandimento ci finisce la telefonata del 25 maggio 2005 nella quale Lucianone si preoccupa di raccomandare alcuni alti funzionari di polizia. Si informa sugli spostamenti imminenti, fa nomi daltissimo livello, dimostra di lavorare a una «griglia» di alti funzionari di polizia di sua fiducia. Dal verbale: «Dice che ha parlato di questa cosa qua... e chiede se fosse stato vero che a luglio sarebbe accaduto qualcosa. In tal senso (il poliziotto, ndr) risponde asserendo che gli era stato detto da un suo collega del ministero, il quale era alla corte del dirigente T. che a giugno avrebbero fatto il consiglio di amministrazione, per le promozioni, quindi dice che al momento era previsto il movimento per Torino di T. ed in lizza cera un certo I.M. Luciano dice di aver parlato con una terza persona di un certo F., poi aggiunge che gli avevano fatto capire che era tutto in alto mare». Grazie. Prego. Tanti saluti. Arrivederci. «Ci risentiamo per le novità». Che arrivano prima di quanto Lucianone si aspetti.
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