Cultura e Spettacoli

Ecco la top ten degli italiani da vedere

da Venezia

Avanguardia e conservazione possono anche non andare d’accordo. Ma l’assenza annunciata del ministro della cultura all’inaugurazione del Padiglione Italia oggi pomeriggio alle 15,30, pesa molto. È nota l’idiosincrasia tra l’attuale inquilino di via del Collegio Romano e il curatore designato dal suo predecessore, ma qui ne va dell’immagine (già non proprio alle stelle) di un Paese. Galan, che si è detto entusiasta dei piccioni del concittadino Cattelan, sarà «sostituito» dalla declamazione dello scrittore Aurelio Picca e forse non è un male, ma ricordando i tempi della nostra nomina a Venezia giova sottolineare l’intenso rapporto di fiducia reciproca instaurato con Sandro Bondi che ci fece sentire forte la protezione culturale del governo.
Finalmente il Padiglione Italia è finito, pronto a essere massacrato da frotte di giornalisti accreditati, molti dei quali scrivono su misteriose riviste, o da sedicenti critici che ripetono come un disco rotto tutti le stesse cose. «Ma davvero ti è piaciuto o scherzi?», questo il commento più ricorrente alla mia difesa d’ufficio di Sgarbi, arrivando persino a lodare il precedente del 2009 («almeno voi avevate fatto una selezione, questo è un delirio») a conferma della disonestà intellettuale di certi mestieranti pronti a sfoderare un largo sorriso dopo averti sputtanato sulla pubblica piazza.
Per fortuna gli artisti sono più intelligenti di critici e curatori, e dunque uno come Michelangelo Pistoletto che non ha davvero niente da dimostrare e pur essendo parte di un’ideologia opposta a quella di Sgarbi, si è dimostrato felice dell’invito perché «il lavoro parla da solo». E piace ancor di più la presenza di Jannis Kounellis che rifiutò appena tre anni fa l’invito di Bonami a Palazzo Grassi, ritenendo «Italics» un’operazione pretenziosa e poco corretta, mentre qui, nel casino, il talento emerge senza bisogno di paracadute. Perciò anche un inesperto può capire la forza della pittura di Mimmo Paladino rispetto a colleghi molto più modesti.
Immaginiamo che in questo caos a un certo punto spariscano le etichette e qualcuno, nel tentativo di rimettere ordine, sbagli gli accoppiamenti. Se, ad esempio, si invertissero Vanessa Beecroft e Rabarama, faremmo di certo una favore alla prima, star internazionale della fotografia e della performance, alle prese con un linguaggio che maneggia poco (e i risultati si vedono) mentre Rabarama si conferma una solida professionista, nonostante la polemica sollevata dalle sue statue nelle piazze di Firenze, sempre ad opera dei progressisti della cultura.
Chi resterà di questo folle Padiglione Italia del 2011? Certamente i veterani, i più esperti, quelli dal lungo futuro dietro le spalle, come l’82enne Ezio Gribaudo, pittore, collezionista, che si muove lento ma sempre elegante tra le calli, accompagnato da moglie e figlia, suscitando in me una lieve commozione e il rispetto per uno degli ultimi pezzi di storia dell’arte del ’900. Oppure il grande Valerio Adami, esponente di spicco della nostra pop art, il molisano Gino Marotta, scultore di trasparenze e giochi di luce, il delicato Paolo Icaro che già fu scelto da Harald Szeeman quale rappresentante chiave dell’arte italiana di quarant’anni fa. Sotto traccia e con l’aiuto dei suoi testimonial, Vittorio Sgarbi tenta anche una lettura «altra» del decennio Settanta, dominato dal politico e dal sociale, insinuando il dubbio che anche allora ci fosse chi preferiva il poetico e il simbolico a costo di sembrare controcorrente.
Meno lineare e più magmatica l’interpretazione del presente, in cui numericamente svetta ancora la generazione dei nati negli anni ’60, che peraltro necessita di venir consacrata. A parte la soddisfazione di vedere in mostra diversi artisti con cui ho lavorato (Petrus, Vanni Cuoghi, Busci, Bertozzi&Casoni), quello che considero attualmente il più interessante (Giuseppe Veneziano), oltre a una passione condivisa tra me e Vittorio per l’ovadese Mirco Marchelli (è il Vinicio Capossela dell’arte italiana), oltre all’ottima sezione fotografia curata con gusto filologico da Italo Zannier, c’è talmente tanto da segnalare che il rischio di dimenticare qualcosa di valido è forte. Raccomando il video wall di Davide Coltro dedicato al paesaggio italiano, virato sui tre colori della bandiera, talmente intenso da sopportare l’assalto della miriade di segni circostanti; i dipinti fotorealisti di Andrea Martinelli, che è anche protagonista di una personale «decentrata» organizzata dal Centro Pecci a Milano; le curiose scenografie di due personaggi estranei all’arte pura, come lo stilista Antonio Marras e il grande designer Gaetano Pesce.
Per esperienza e amicizia, posso suggerire a Vittorio di non perdere la pazienza ancora per qualche ora, di resistere fino all’inaugurazione offrendosi sorridente al plotone d’esecuzione.

Poi, tutto scorre, le polemiche si affievoliscono naturalmente e resterà solo il fastidioso brusio di fondo sorretto dalla malcelata invidia dei tanti che a Venezia continueranno ad andarci da turisti.

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