di Andrea Cuomo
e Massimo Malpica
Roma - La macchina del fango? È sempre in basso a destra. È quella dei giornali brutti, sporchi e cattivi come il nostro. Gli altri fanno giornalismo indipendente e autorevoli inchieste. Noi ci dedichiamo al «killeraggio», alle imboscate personali e teniamo sempre in funzione la macchina di cui sopra. Eppure i giornali e le trasmissioni televisive di sinistra si sono resi protagonisti negli ultimi anni di inchieste spiaggiate, di accuse cadute nel vuoto, di spazio garantito all’ambiguo oracolo di turno, poi regolarmente rivelatosi un bluff. Patacche d’autore spacciate per grande giornalismo. Ecco una piccola collezione.
Il teorema di Report naufraga da Antigua
LA PATACCA La storia ha tenuto banco per mesi, infuocando l’estate del 2009 e tenendo sulla graticola il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. A innescarla, il 17 giugno, un’intervista del Corriere della Sera a Patrizia D’Addario, escort barese che raccontò di due notti passate dal premier, a Palazzo Grazioli. Ma a cavalcare la questione, tra continui titoli di prima pagina e insistite «dieci domande», fu invece Repubblica. Ipotizzando, a margine dei racconti di Patty, non solo gossip scandalistico ma molto di più: «riscontri investigativi» prossimi a emergere, istruttorie che montavano, inquirenti che affilavano i coltelli. Insomma, il quotidiano di Largo Fochetti sembrava aver preso sul serio il vaticinio di Massimo D’Alema, che il 14 giugno, ospite di Lucia Annunziata a In 1/2 ora, e parlando da una masseria salentina, ipotizzò di lì a poco una «scossa» per il governo. L’escort barese, più volte intervistata anche da Santoro su Annozero, sembrava insomma la polena di un giro di inchieste della procura di Bari che avrebbe affondato Berlusconi, l’esecutivo e, chissà, l’intero centrodestra. A leggere Rep, c’era solo da attendere.
LA VERITÀ In realtà quelle inchieste baresi, a margine delle quali venne fuori l’affaire D’Addario, non erano esattamente incentrate su non meglio precisati reati del premier. Ma puntavano, semmai, a scoperchiare un sistema di appalti pilotati nella sanità regionale pugliese. Tanto che l’ex assessore regionale alla Sanità di Nichi Vendola, Alberto Tedesco, si era già dimesso mesi prima dopo essere finito indagato, salvo essere «promosso» dal Pd al Senato. E per questa storia dietro le sbarre finirà un esponente del Pd di primissimo piano: Sandro Frisullo, vicepresidente della Giunta regionale. Che, curioso, il giorno in cui D’Alema parlava delle «scosse» per il governo, era nella stessa masseria di «Baffino». E Berlusconi? Il procuratore capo di Bari, Antonio Laudati, a settembre 2009 taglia corto: «È di tutta evidenza che è assolutamente fuori da qualsiasi responsabilità penale».
L'oracolo Ciancimino: un teste inattendibile
LA PATACCA L’8 ottobre 2009 la puntata di Annozero ruota tutta intorno alla presenza in studio di Massimo Ciancimino, figlio di «don Vito», ex sindaco di Palermo condannato dalla Cassazione a otto anni di reclusione per associazione mafiosa e corruzione. Ciancimino junior, oggi 47 anni, aria da viveur in disarmo, da collaboratore di giustizia - quella stessa giustizia con cui ha molti conti aperti - da qualche tempo sta raccontando ai giudici del processo Mori dei legami strettissimi tra Cosa nostra e i servizi segreti, dei soldi rastrellati dal padre investiti su Milano 2, accusa Marcello Dell’Utri. E nella trasmissione di Rai2 fa la parte dell’oracolo, mischia le carte, parla per bocca del defunto padre, accusa, collega, infanga. E non sarà l’unica volta: Ciancimino rispunta nella trasmissione di Santoro il 13 maggio scorso.
LA VERITÀ La credibilità del teste Massimo Ciancimino è messa in seria discussione dalla decisione dei giudici della Corte d’Appello di Palermo di non ammetterlo a testimoniare nel processo contro lo stesso Dell’-Utri per le tante contraddizioni rilevate nelle sue parole: inizialmente Ciancimino nega di avere informazioni sul senatore, poi ritrova la memoria, rivelando però circostanze non da lui conosciute direttamente ma riferitegli dal padre, nel frattempo morto, a cui sarebbero a sua volta riferite da altri. Poi spunta un «pizzino» scritto da Bernardo Provenzano a Vito Ciancimino, in cui si fa cenno al presunto interessamento «del nostro Sen.». Peccato che, essendo del 2000, il messaggio non può riferirsi a Dell’Utri, all’epoca deputato e non senatore. Insomma, un testimone molto chiacchierone ma fondamentalmente inattendibile. Ma a rivelare l’inaffidabilità di Ciancimino junior è la perizia della polizia scientifica sui documenti presentati dal teste nel processo contro il generale dei carabinieri Mario Mori, accusato di favoreggiamento nei confronti di Bernardo Provenzano. Almeno uno dei 55 documenti è palesemente falso, un grossolano collage di fotocopie e calligrafie diverse. E indovinate di chi si parla in quel foglio? Ma sì, di Silvio Berlusconi.
La escort dei veleni boomerang sul Pd
LA PATACCA La storia ha tenuto banco per mesi, infuocando l’estate del 2009 e tenendo sulla graticola il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. A innescarla, il 17 giugno, un’intervista del Corriere della Sera a Patrizia D’Addario,escort barese che raccontò di due notti passate dal premier, a Palazzo Grazioli. Ma a cavalcare la questione, tra continui titoli di prima pagina e insistite «dieci domande», fu invece Repubblica . Ipotizzando, a margine dei racconti di Patty, non solo gossip scandalistico ma molto di più: «riscontri investigativi» prossimi a emergere, istruttorie che montavano, inquirenti che affilavano i coltelli. Insomma, il quotidiano di Largo Fochetti sembrava aver preso sul serio il vaticinio di Massimo D’Alema, che il 14 giugno, ospite di Lucia Annunziata a In 1/2 ora , e parlando da una masseria salentina, ipotizzò di lì a poco una «scossa» per il governo. L’escortbarese,più volteintervistata anche da Santoro su Annozero , sembrava insomma la polena di un giro di inchieste della procura di Bari che avrebbe affondato Berlusconi, l’esecutivo e, chissà, l’intero centrodestra. A leggere Rep ,c’era solo da attendere.
LA VERITÀ In realtà quelle inchieste baresi, a margine delle quali venne fuori l’ affaire D’Addario, non erano esattamente incentrate su non meglio precisati reati del premier. Ma puntavano, semmai, a scoperchiare un sistema di appalti pilotati nella sanità regionale pugliese. Tanto che l’ex assessore regionale alla Sanità di Nichi Vendola, Alberto Tedesco, si era già dimesso mesi prima dopo essere finito indagato, salvo essere «promosso» dal Pd al Senato. E per questa storia dietro le sbarre finirà un esponente del Pd di primissimo piano: Sandro Frisullo, vicepresidente della Giunta regionale. Che,curioso,il giorno in cui D’Alema parlava delle «scosse» per il governo, era nella stessa masseria di «Baffino ». E Berlusconi? Il procuratore capo di Bari, Antonio Laudati, a settembre 2009 taglia corto: «È di tutta evidenza che è assolutamente fuori da qualsiasi responsabilità penale».
Il finto scoop di Letta indagato
LA PATACCA L’esordio del Fatto quotidiano , il 23 settembre 2009 per la prima volta in edicola, è fulminante. Quel giorno il foglio diretto da Antonio Padellaro e che vanta tra le firme di spicco quella di Marco Travaglio, propone il suo primo scoop: «Letta indagato ». Nell’articolo, firmato da Marco Lillo e Peter Gomez, s i s ostiene che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio potrebb e essere chiamato a rispondere di abuso d’ufficio, turbativa d’asta e truffa aggravata. Il tutto nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Lagonegro su un appalto per la costruzione di un centro di assistenza ai richiedenti asilo a Policoro (Matera) che Letta avrebbe pilotato.
LA VERITÀ «Nessuno n e parla», scriveva i l Fatto quasi incredulo, commentando la presunta notizia. Sono passati tredici mesi e ancora nessuno ne parla. Neppure più il Fatto quotidiano . Forse perché la notizia è una patacca?
La bugia: papà Storace un picchiatore fascista
LA PATACCA È il 24 marzo 2005. Nel Lazio infuria la campagna elettorale per le regionali. Una battaglia senza esclusione di colpi tra Francesco Storace, governatore uscente, allora in An, e lo sfidante per il centrosinistra, Piero Marrazzo. Quel giorno Storace è presente alla commemorazione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. C’è anche Mario Limentani, classe 1923, ebreo sopravvissuto a Mauthausen, che contesta il presidente della Regione. E che, dopo la cerimonia, si ferma a chiacchierare con una cronista dell’ Unità . Le dichiarazioni dell’82enne finiscono, il giorno dopo, per sorreggere uno scoop pre-elettorale del quotidiano diretto - allora - da Antonio Padellaro. Titolo sobrio: «Il padre di Storace mi portò alla casa del Fascio e mi picchiò...». I dettagli? Già nell’attacco del pezzo: «Avvenne nel 1941. Il padre di Storace mi fermò per strada, mi portò alla sede del Fascio e mi picchiò. Mi aveva legato alla sedia». Urca. Certo, le colpe dei padri non dovrebbero ricadere sui figli, ma lo «Storace senior» manganellatore fascista, a pochi giorni dalle elezioni, era un bel colpo.
LA VERITÀ Peccato che la notizia fosse una clamorosa bufala. Il padre di Storace, Giuseppe, era nato nel 1929. Nel 1941 aveva 12 anni, e immaginarlo picchiatore in erba era difficile, anche perché non abitava a Roma ma a Sulmona. Insomma, Limentani ricordava male, cosa legittima per un ultraottantenne che nella sua vita ne ha viste davvero di tutte. Ma quel ricordo sbagliato era troppo ghiotto perché qualcuno all’ Unità , prima di pubblicarlo, si preoccupasse di fare una semplice verifica.
La Ue contro l'Italia. E arriva la smentita
LA PATACCA Il 23 marzo 2009 Repubblica «apre» così: «L’Ue: l’Italia tra i Paesi a rischio». Da Bruxelles Andrea Bonanni riporta parole del commissario per gli Affari economici Joaquin Almunia che addita l’Italia e la Grecia come l’anello debole dell’Unione. «E Berlusconi e Tremonti dicono che stiamo meglio degli altri partner europei », ironizza Bonanni.
LA VERITÀ Il bluff dura poche ore. Il tempo che la Commissione europea smentisca fermamente l’inserimento dell’Italia tra i Paesi a rischio bancarotta. «Almunia non ha detto quello che leggo in particolare su Repubblica , e d’altra parte le parole che vedo nel titolo non appaiono nell’articolo», precisa la portavoce Amelia Torres.
Fango sul carabiniere, finisce in tragedia
LA PATACCA È la madre di tutte le patacche di Santoro, quella dalle conseguenze più tragiche. Il 23 febbraio 1995 la trasmissione Tempo Reale , antesignana di Annozero , è dedicata a Terrasini, località siciliana che viene raccontata come l’inferno siciliano. In particolare Leoluca Orlando, allora sindaco di Palermo, e Manlio Mele, sindaco di Terrasini, dichiarano in diretta che c’è un sottufficiale dei carabinieri colluso con la mafia e ne fanno un identikit che corrisponde senza possibilità di equivoco ad Antonino Lombardo, già comandante della stazione dei Carabinieri di Terrasini da poco passato ai Ros. Pochi giorni dopo, il 4 marzo 1995, in una macchina parcheggiata nella caserma sede del comando regionale dei Carabinieri di Palermo, Lombardo si spara.
LA VERITÀ Le accuse televisive di Orlando e Mele non troveranno mai conferma. Lombardo, 49 anni non ancora compiuti, aveva infatti un curriculum al di sopra di ogni sospetto: aveva contribuito all’arresto di Totò Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993, e soprattutto aveva convinto a collaborare con la giustizia nell’ambito del processo Andreotti il boss Gaetano Badalamenti, a quel tempo detenuto in un carcere americano. Badalamenti aveva posto come condizione alla sua deposizione proprio la presenza di Lombardo, che avrebbe dovuto andare a prenderlo di lì a poco. La sua morte naturalmente pose fine a ogni speranza di sentire la versione di don Gaetano.
Particolare non trascurabile della vicenda, il comandante generale dell’Arma Luigi Federici tentò di intervenire telefonicamente alla trasmissione di Santoro per difendere il suo uomo, ma fu tenuto a lungo in attesa e alla fine non gli fu consentito di parlare. Probabilmente fu proprio la sensazione di abbandono da parte dell’Arma a risultare decisiva nella decisione di Lombardo di togliersi la vita.
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